Tuttavia, aggiunge il direttore della Fondazione, “sui contenuti resta molto da fare”.
Il sospetto dunque a lungo ventilato che le basse quotazioni dei nostri studenti a livello internazionale dipendessero da prove poco frequentate dai nostri alunni incomincia a farsi strada e al di là dei meriti o dei demeriti che i vari responsabili della nostra istruzione si possono attribuire, ma nei meriti soprattutto, visto che i demeriti e i fallimenti sono quasi sempre orfani,
In ogni caso, dice Gavosto, “mi aspettavo qualche progresso in più, visto che il grosso dei miglioramenti era arrivato tra il 2006 e i 2009. Il problema è proprio da dove vengono questi progressi. Credo che tra Invalsi e Pisa i nostri ragazzi, e i loro insegnanti, stiano prendendo familiarità con questo tipo di prova. Insomma è una questione più tecnica che di sostanza”. Invece, dice il direttore, bisogna lavorare sui contenuti, “partendo dal rinnovare i modelli didattici” e i programmi. “In Italia si insegnano nozioni, dati, battaglie e così via.
Invece questi dati dovrebbero insegnarci a pensare al sapere applicato. Competenze da mettere in pratica”.
Per questo, dice sempre Gavosto, non sono importanti i fondi ma come vengono spesi. “Potendo investire sulla scuola io lo farei sul rinnovamento generazionale. Siamo il Paese con il corpo docente più vecchio d’Europa, mancano aggiornamenti e motivazioni. Punterei a inserire forze giovani. E poi proverei a popolare le scuole anche nei pomeriggi per laboratori e approfondimenti, per insegnare meglio e con più calma”.
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