Fanno discutere le parole pronunciate dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, e per le Pari opportunità, Mara Carfagna, entrambe sostenitrici di una legge che proibisca di indossare il burqa scuola. I due Ministri lo hanno detto a chiare lettere al folto gruppo di giornalisti convocati al Miur per la presentazione di una serie di iniziative organizzate il 14 ottobre nell’ambito della “I Settimana contro la violenza”: la celebrazione dell’VIII “Giornata europea dei genitori e della scuola”, la presentazione di un Protocollo d’intesa interministeriale per combattere il bullismo e del concorso “Io dico no alla violenza”.
“Nel nostro Paese – ha dichiarato Gelmini – è obbligatoria l’identificabilità di tutti i soggetti quindi credo che questo principio vada applicato“. Il Ministro è convinto che la scuola non debba essere da meno degli altri ambienti pubblici: “stiamo valutando – ha sottolineato – perché è chiaro che bisogna essere riconoscibili in tutti i luoghi pubblici, compresi la scuola. Ne parleremo con i ministri Carfagna e Maroni“.
Considerando il credo politico del ministro dell’Interno ci sono buone possibilità che non ci si fermi agli intenti. Anche perché la Carfagna ha un pensiero in merito ancora più determinato: “Non c’è spazio per quelle religioni – ha detto il responsabile del dicastero per la Pari opportunità – che negano parità di diritti e parità di libertà e dignità. Il burqa e lo chador – ha continuato – sono simboli di sottomissione” poiché “nella maggior parte di questi casi dietro ci sono storie di violenza, sottomissione e sopraffazione. Noi vogliamo favorire l’integrazione di chi viene nel nostro Paese e per integrazione intendiamo la possibilità di chi viene in Italia a vivere così come vivono gli italiani godendo delle conquiste di libertà“.
Immediate le repliche. E le critiche. Ad iniziare dalla Flc-Cgil: “in classe – ha detto il neo- responsabile dei dirigenti scolastici, Gianni Carlini – non ha senso adottare l’obbligo di identificabilità perché non esiste il pericolo di ordine pubblico: se vi è una ragazzina che indossa tutti i giorni il burqa – ha detto Carlini – i compagni e i docenti la riconoscerebbero comunque per la voce. L’ambiente formativo – ha continuato il rappresentante dei dirigenti della Flc-Cgil – è un luogo dove si incontrano e si formano soggetti in crescita, nei confronti dei quali si dovrebbe riporre maggiore attenzione e non introdurre divieti assoluti“.
Severo anche il giudizio della Rete degli studenti, che sabato scenderà in piazza per difendere l’interculturalità: secondo il coordinatore Luca De Zolt “il ministro Gelmini si è lasciato andare ancora una volta a dichiarazioni pazzesche di gusto fondamentalista, che farebbero scandalo se pronunciate da un leader religioso islamico, ma che vengono invece tollerate da un ministro della pubblica istruzione“.
Secondo la Rete degli studenti quello del burqa è un falso problema: “invece di cavalcare gli slogan leghisti, la Gelmini dovrebbe preoccuparsi di attuare vere politiche di integrazione: nelle scuole non ci sono mediatori culturali, non ci sono fondi e insegnanti per l’insegnamento dell’italiano, né per il mantenimento della lingua madre“.
Gelmini ha ricevuto critiche anche per aver ammesso, nella stessa giornata, di “chiedere un parere al Consiglio di Stato” per la pariteticità della religione alla altre materie, quindi anche per la sua validità come voto: “essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie – ha spiegato Gelmini – credo che questo debba valere anche per l’insegnamento della religione“.
Secondo Manuela Ghizzoni e Maria Coscia, deputate Democratiche della commissione Cultura di Montecitorio, ”purtroppo, il nuovo sistema di valutazione che ha fatto venir meno il criterio di un giudizio globale sui rendimenti scolastici lascia spazio anche a questo tipo di `pensate`: siamo convinte che il Consiglio di Stato rispedirà al mittente la proposta“.
Anche secondo Donatella Poretti, senatrice radicale eletta nelle liste del Pd, il responsabile del Miur “nella mania di assegnare un voto a tutto, dopo la condotta ora si è lanciata nella campagna per introdurre il voto per l’ora di religione. In pratica il prete, o comunque chi viene indicato dalla curia a tenere l’ora facoltativa di religione cattolica, dovrebbe valutare in cifre quanto i ragazzi sono religiosi? Quanto sono cattolici? Quanto Vangelo conoscono? Quanto si impegnano con la ragione a credere nella fede? O quanto rispettano nella propria vita privata i precetti della fede? E’ prevista anche la confessione obbligatoria?. Un’idea così idiota – rincara la dose l’esponente radicale – si potrebbe liquidare solo con una battuta, che se un voto proprio lo vuole, lo daremo volentieri alla Gelmini: 0 laicità, 10 clericalismo bigotto e baciapile!”.
Ma per la Rete degli studenti l’insegnamento questo tipo di insegnamento non può assolutamente essere considerato alla pari degli altri: “l’ora di religione è un residuo medioevale i cui corrispondenti si trovano solo nei regimi teocratici – ha sottolineato De Zolt – e va risolto il trattamento già oggi discriminatorio riservato a chi non si avvale dell’Irc e vanno potenziate le ore alternative, molto spesso inesistenti“.
Un parere in sintonia con quello di Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil: “Nel pieno rispetto del Concordato, l’ora di religione deve rimanere facoltativa: non può determinare vantaggi di alcun genere, a cominciare dai crediti formativi e quindi non può essere valutata come una normale materia curriculare“.
Anche per Pantaleo il vero “nodo” che pone la religione è quello di assegnare sempre le attività alternative. “Il ministro Gelmini deve garantire la laicità della scuola pubblica italiana sancita dalla nostra Costituzione, piuttosto il Ministro Gelmini dovrebbe preoccuparsi del fatto che si nega, per effetto di pesantissimi tagli, il diritto – conclude – ad avvalersi dell’insegnamento alternativo“.