Sono sette le vie proposte, sette i segni di modifica e innovazione, che in latino si dicono “sacramenti”, sette le ricette per far guarire la scuola ammalata e per alcuni sono i sette peccati che hanno come autore il Ministro Gelmini , ma come padrino il Ministro Tremonti che all’insegna della riduzione della spesa pubblica, blocca, limita e riduce finanziamenti, personale e risorse.
Alcune di queste innovazioni correttive trovano maggiori consensi, altre un po’ meno, ed altre ancora sono da un’ampia maggioranza contestate e ritenute inopportune, anzi distruttive e dannose all’intera scuola.
Si è contestato il metodo e la strategia governativa di intervento e di azione, che ha operato per decreti ,giustificati con motivi di urgenza legati all’inizio del nuovo anno scolastico.
Esaminandoli singolarmente e leggendo la realtà scolastica e le motivazioni che li hanno determinate, anche esprimendo alcune riserve, si riscontra in alcuni di essi delle effettive risposte ai bisogni della scuola di oggi, che necessità di una cura e di un intervento deciso e fermo. Ci si rende conto che sono dettate da necessità, da nuove emergenze, da particolari situazioni di sofferenza e di esagerazione e sprechi che hanno determinato una patologia che necessita un intervento alla radice.
Ad alcuni non appare ancora chiaro il progetto, anzi si ritiene che tutte le proposte Gelmini siano senza progetto, ma dettate unicamente da motivi economici che sono certamente quelli più evidenti e riscontrabili nell’immediatezza.
Se progettare vuol dire mettere in atto un desiderio ed in questo caso significa mettere ordine e sistemare alcune situazioni non più accettabili, e poco funzionali, tra le righe delle innovazioni si potrà ritrovare un’idea progettuale, di cui la parte economica appare maggiormente prevalente e trainante.
Che tutte le scuole elementari e medie diventino “istituti comprensivi”, (espressione da sempre poco felice, mentre si preferisce: Istituto scolastico), è una proposta in gran parte condivisa. Ci si rende, infatti, conto della necessità di tale intervento per dare unitarietà alla didattica, all’organizzazione della scuola, ad un impianto formativo coerente, armonico ed organico, ma nell’attuazione di tale provvedimento occorrerà certamente modificare gli assetti degli edifici scolastici e la razionalizzazione e dimensionamento della rete scolastica. Tutto ciò provocherà dei tagli, delle fusioni, e quindi una riduzione di personale che non sarà gradita agli interessati.
La formazione di istituti comprensivi necessita, comunque non una semplice aggregazione di plessi, o somma di numeri di alunni per raggiungere un quoziente minimo, bensì una vera continuità didattica ed un impianto formativo unitario e convergente
Gli anticipi alla scuola dell’infanzia e le sezioni primavera non sono una novità, e mentre sono graditi ed attesi da tanti genitori, a volte non trovano il consenso delle maestre che si trovano ad operare con classi numerose e talvolta molto eterogenee.
Per le sezioni primavera pur nella condivisione della proposta formativa, si trovano spesso difficoltà per la carenza dei contributi e dei sostegni da parte dell’ente locale comunale .Ottima proposta, ma con questo chiar di luna (Catania docet) addio sogni !
Dove sono i lettini, l’angolo morbido, le cucine pronto pasto, il personale bandante , l’aula gioco, l’aula riposo, l’aula creatività? Nelle strutture private si operano degli investimenti che nel tempo hanno raccolto positivi consensi e fiducia da parte dei genitori, mentre le strutture pubbliche con i pochi fondi assegnati agli istituti comprensivi non si riesce a rispondere alle differenziate esigenze dei tre ordini di scuola.
Per quanto riguarda gli anticipi resti pure la norma che comunque il bambino dovrà aver compiuto sei anni quando si iscrive nella classe seconda, ma il fissare una data quale il 30 aprile, risulta illogica ed ingiustificabile nei confronti di un bambino nato il primo maggio.
La tanto dibattuta questione del maestro unico , già in nuce nella riforma Moratti con il docente tutor non è poi così scandalosa se si considera. L’espressione “maestro unico” è proprio infelice mentre il termine corretto e: “insegnante prevalente” che non esclude la presenza di altre professionalità nella classe e elabora una graduale progettualità che nel tempo cresce e si amplia.
Il temine “docente tutor” non è stato gradito ai sindacati e a molti ed ora, gli stessi reclamano il compito di docente prevalente che nei primi tre anni, (anno di avvio e primo biennio) ha certamente una funzione di avvio e di approccio metodologico alla scolarità che si svilupperà in seguito.
Senza voler scomodare la pedagogia la prassi scolastica dell’attuazione del modulo ha fatto sempre registrare la presenza di un docente prevalente nel modulo. Tale prevalenza viene ancor meglio dirottata nella classe. Resta comunque aperta la questione dei docenti che il prossimo anno svolgeranno tale compito di prevalenza, portatori di specializzazione in un solo ambito disciplinare senza una qualificata esperienza negli altri ambiti.
La positiva stagione dei moduli, coronata dall’arcobaleno della pedagogia condivisa e di gruppo , del team docente modulare che programma insieme e interviene con una dinamica pluralità, secondo i ministri Tremonti e Gelmini dovrà concludersi,ripristinando la figura del maestro unico-prevalente e pianificando il tempo scuola.
Certe situazioni di reale spreco: sei maestre per dodici bambini in due pluriclassi, non sono certamente giustificabili, specie in un momento storico di forte crisi per l’economia nazionale.
Quando si registra che un bambino di 10 anni non sa ancora tenere il rigo, non conosce le tabelline, ha difficoltà ad esprimere e scrivere una frase semplice corretta, viene spontaneo chiedersi se la presenza delle tre maestre in cinque anni è stato un bene e come mai, pur essendo in tre non si è riusciti a conseguire gli obiettivi minimi.
Sarà invece da attenzionare la questione del numero dei bambini per classe, e le risorse di personale aggiuntivo (si tratta di docenti di ruolo che certamente non saranno licenziati) potrà meglio cooperare per l’organizzazione dei corsi di recupero, gli interventi individualizzati che non sempre sono stati messi in atto, per la rigidità dell’orario, la necessità delle supplenze, la contemporaneità dei docenti.
Un’altra ricetta investe le ore di lezione per i singoli ordini di scuola ed il tempo scuola elementi costitutivi di un’organizzazione che si vorrebbe sempre più efficiente e produttiva.
Le statistiche rivelano che la scuola italiana nonostante le molte ore di lezioni e le molte materie di insegnamento non raggiunge i parametri di sufficienza
Come con l’introduzione dell’ora legale si è risparmiata energia, così anche con il nuovo impianto orario scolastico, ridotto rispetto a quello attuale, dovrebbe tendere ad una migliore qualità. Non è, infatti, il tempo scuola da tabella che garantisce l’efficacia degli apprendimenti, bensì la capacità e la metodologia didattica adottata.
Attualmente le ore di scuola sono formalmente cinque o sei al giorno (se si attua la settimana corta) ma in effetti quelli di “scuola vera” sono di meno, se si considera l’inizio rallentato delle lezioni, l’intervallo, il cambio di ora degli insegnanti e tante altre interruzioni nel corso della giornata scolastica.
L’ottica dell’efficienza che vuole intensificare in qualità le ore, implicherebbe un’organizzazione scolastica che preveda quattro ore al giorno di due moduli orari di due ore effettive, per la scuola primaria (24 ore) con la scansione (primo modulo 8,30-10,30. un quarto d’ora di intervallo e poi 10,45-12,45 secondo modulo) Per le scuole con la settimana corta si potrà aggiungere un altro quarto d’ora di pausa e l’ultima ora dalle 13 alle 14 secondo le esigenze lavorative dei genitori, oppure mediante un organizzato rientro pomeridiano se le condizioni ambientali e strutturali lo consentono.
E’ opportuno parlare non di riduzione delle ore, bensì di migliore organizzazione dell’orario scolastico La proposta di condensare in 32 ore quello che negli istituti tecnici e professionali viene svolto in 36 ore dovrebbe far attivare la necessità di strutturare l’orario in pacchetti modulari di due ore di lezione per disciplina, così da consentire una maggiore efficacia didattica, ed utilizzando anche la didattica compatta e si potrebbero differenziare gli insegnamenti per classe tra il primo ed il secondo quadrimestre, quasi alla stregue dei corsi universitari con materie del primo e del secondo semestre.
Si fa notare come oggi, nell’attuale sistema organizzativo della scuola, gli studenti bravi e studiosi vengono indirizzati ai licei che hanno 30/32 ore di lezioni, mentre quelli con rendimento appena sufficiente e che “scuola non ne mangiano” vengono indirizzati agli istituti tecnici e professionali e per di più con un carico di 36 ore di lezioni.
La riduzione degli indirizzi nelle scuole superiori e la concentrazione della scuola secondaria di secondo grado a quattro anni anziché cinque vengono inseriti nel progetto di riforma della scuola che non è mai arrivata al completamento del suo iter e si è bloccata nelle fasi di avvio.
Questa proposta risponde ai nuovi percorsi e alle annunciate prospettive di sviluppo sociale come si legge nello studio Siemens The-European House Ambrosetti che nei prossimi vent’anni se la scuola migliora potrebbe apportare all’Italia un incremento del Pil di sei miliardi di euro l’anno.
La riduzione a quattro anni comporterà in seguito una modifica del tradizionale esame di maturità, ma con una prova strutturata, gestita da un ente certificatore di competenze esterno alla scuola, così da poter garantire un funzionale l’accesso all’università o un qualificato inserimento nel mercato del lavoro.
La cura è lunga, la guarigione è incerta. Che passi presto la crisi del numero sette.