Fanno rumore le parole del generale Vannacci, candidato della Lega alle prossime elezioni europee: “Credo che delle classi con ‘caratteristiche separate’ – ha detto il generale nel corso di una intervista rilasciata a La Stampa – aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare”.
Va detto che – purtroppo per Vannacci – il suo “credo” sulle classi con “caratteristiche separate” sia poco in linea con gli esiti della ricerca pedagogica che – da decenni – ha appurato che i risultati migliori nell’apprendimento si ottengono nelle classi “miste” cioè nelle classi in cui sono compresenti alunni bravi e meno bravi, alunni italofoni e alunni di famiglie non italiane.
Quello delle classi omogenee è un “mito” che non ha mai trovato molto credito in ambito pedagogico.
Gli studi su questo tema sono di vecchia data e, in sostanza, vanno tutti nella stessa direzione: la ricerca, infatti, suggerisce che l’inclusione e la compresenza in una stessa classe di alunni a diversi livelli di capacità può avere numerosi benefici per tutti gli studenti.
La ricerca ha messo però in evidenza che, per ottenere buoni risultati, è indispensabile organizzare correttamente gli ambienti di apprendimento, le attività didattiche e i materiali di lavoro.
Ma Vannacci va oltre e aggiunge: “Per gli studenti con delle problematiche mi affido agli specialisti. Non sono specializzato in disabilità. Un disabile, però, non lo metterei di certo a correre con uno che fa il record dei cento metri. Gli puoi far fare una lezione insieme, per spirito di appartenenza, ma poi ha bisogno di un aiuto specifico”.
Osservazione che, come ben sa ogni insegnante, non ha nessun senso perché la scuola, la classe non è un luogo dove si corre per arrivare primi, ma è piuttosto un ambiente dove ciascuno deve cercare di esprimere al massimo le proprie capacità.
Ovviamente anche le classi “miste”, come sono di fatto, tutte le classi della scuola italiana pongono problemi organizzativi. Il punto cruciale riguarda le differenti velocità di apprendimento: gli studenti più bravi potrebbero sentirsi frustrati se il ritmo della classe è rallentato per adattarsi alle esigenze degli studenti meno abili, mentre gli studenti meno abili potrebbero sentirsi sopraffatti se la classe procede troppo rapidamente.
La soluzione sta nella personalizzazione dell’insegnamento: si tratta cioè di trovare un equilibrio tra l’insegnamento di base per l’intera classe e la personalizzazione dell’insegnamento per soddisfare le esigenze individuali degli studenti con diversi livelli di abilità.
Da questo punto di vista una soluzione organizzativa interessante è quella della cosiddetta “scuola senza classi” di cui esistono esempi in molti Stati: nel concreto, in questo modello, la frequenza della classe non è legata strettamente all’età anagrafica e può differenziarsi anche a seconda delle discipline.
E così può accadere che uno studente frequenti un corso più avanzato per la matematica e uno più semplice per la lingua.
Ma, come è facile comprendere, è un modello pressoché impraticabile in un sistema scolastico come il nostro, irrigidito sul cattedre, classi di concorso e rispetto rigoroso dell’età anagrafica degli alunni.
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