C’è bisogno di una maggiore collaborazione e partecipazione dei genitori alla vita democratica della scuola, una partecipazione che va al di là della mera presenza come componenti in seno ai consigli di classe oppure ai consigli d’istituto.
Partecipazione che ha il sapore di essere attiva e fruttifera sostenendo l’azione dei docenti che compongono il Consiglio di Classe.
I genitori non devono “precipitarsi” a scuola solo quando accadono episodi che riguardano la vita dei propri figli: se studiano, se hanno ricevuto qualche nota disciplinare, se sono stati convocati dal docente, se sono venuti a conoscenza di un brutto voto nelle verifiche scritte oppure orali dei propri figli.
Devono presentarsi a scuola periodicamente per avere un contatto più frequente con i docenti, onde insieme indirizzare o correggere l’azione didattico-educativa dei propri figli. Insieme scuola e famiglia possono contribuire a formare i cittadini di domani.
Invece no. I genitori si presentano a scuola spesso soltanto quando le cose non vanno, ossia quando incominciano a “sentire” odore di bocciature o per comportamenti non corretti dei figli.
E vanno a fare la “ramanzina” al docente, reo di avere tutta la colpa che i figli non hanno. Si tratta di un atteggiamento completamente distorto di quella che dovrebbe essere la regola. I genitori devono prendere parte attiva alla vita della scuola e non giudicare l’operato dei docenti.
La partecipazione attiva alle decisioni della scuola rappresentano la ratio della legge degli Organi Collegiali (i decreti delegati) del 1974 che è stata varata nell’ottica di una partecipazione democratica della famiglia alla vita della scuola.
Era proprio questo l’animus di quella legge. Purtroppo oggi lo spirito di quella legge si è smarrito e le proposte dei genitori nel parlamentino della scuola si sono trasformate da proposte in pretese con una forte dose di ingerenza nell’operato dei docenti che hanno “ancora” libertà di insegnamento e di valutazione degli apprendimenti degli alunni.
Mario Bocola
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