Il rapporto genitori e docenti di questi tempi non è così idilliaco. Sappiamo infatti dei numerosi fatti di cronaca che hanno visto genitori di alunni picchiare gli insegnanti, per motivi riguardanti i voti dei loro figli o giù di lì. La verità, come più volte sostenuto da questa testata, è che il problema di fondo riguarda la considerazione della scuola, oggi non riconosciuta come un’istituzione, con il ruolo dei docenti messo sempre più in secondo piano.
A tal proposito, è molto interessante l’intervista pubblicata sul Corriere del Mezzogiorno, Rosalinda Cassibba, ordinaria di Psicologia dello sviluppo e direttrice del Dipartimento di Scienze della formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università Aldo Moro, che spiega a suo parere il momento che sta attraversando la scuola italiana, prendendo spunto da ultime vicende di aggressioni, come quella di Putignano.
“Il problema è che la scuola non viene più riconosciuta come un’istituzione a cui si affida la formazione di un cittadino, ma viene percepita alla stregua di qualsiasi altra azienda che stia proponendo un’offerta”, spiega Cassibba che nello specifico ritiene che questo atteggiamento “porta un padre e una madre a convincersi di avere il diritto di interferire se quello che viene inteso come un servizio non corrisponde ai propri desideri: è come se un cliente si lamentasse di un prodotto”.
Per la docente viene quindi a mancare il concetto di valore. Ed è proprio su questo punto bisognerebbe agire: “puntando sulla condivisione dei valori: se non c’è quella, anche i cambiamenti che vengono introdotti sono inutili. Prima di procedere con qualsiasi iniziativa è necessario capire se ci sono le basi: altrimenti è come parlare dell’importanza delle tecnologie e non disporre neanche di un videoproiettore”.
A partire da questo punto, si può lavorare per ricostruire l’autorevolezza del docente, messa sempre più di lato da genitori che cercano spasmodicamente l’affermazione dei loro figli: “alla base c’è sempre il mancato riconoscimento del ruolo educativo dell’insegnante. C’è una distorta idea di ricerca del successo per i propri figli: la scuola, con le sue regole, viene vista come un ostacolo. Questo spiega anche le continue lamentele nei confronti degli insegnanti, ad esempio, prosegue Cassibba, basti pensare alle critiche per i troppi compiti a casa: si pensa che il carico di lavoro possa compromettere l’affermazione dei figli in altri ambiti, come lo sport. Di conseguenza, ci si sente autorizzati a intervenire. Può accadere anche dopo una discussione in classe: un genitore che non riconosce un ruolo educativo dell’insegnante non accetta le regole. E non esita a mettersi in contrapposizione con la scuola”.
Anche la ministra Fedeli ha richiamato l’attenzione sul rapporto genitori-scuola, però all’interno della questione uscita dei minori di 14 anni.
L’impressione in realtà, a parere di chi scrive, è che invece questa occasione sulle nuove regole di vigilanza, metta ancora più distanza fra scuola e genitori, perché non si fa altro che scaricare la responsabilità degli alunni sulle liberatorie firmate dalla famiglia, forse proprio, comprensibilmente, per evitare ulteriori problemi con le famiglie degli alunni.
Nella guerra “a chi si difende di più”, la liberatoria è una sorta di corazza per la scuola allo scopo di difendersi dalle smanie di difesa ad oltranza dei genitori. E questa guerra psicologica, non permette certo la condivisione dei valori richiamata da Cassibba.
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