Il cellulare è ormai un oggetto onnipresente nelle nostre vite e molti di noi hanno l’abitudine di tenerlo fra le mani e di interagirci continuamente: questo avviene non solo quando per esempio siamo in coda o quando siamo soli e annoiati, e controlliamo i social o navighiamo sul web, ma anche quando siamo immersi in relazioni sociali, in famiglia, con i colleghi, tra amici e in coppia.
Prestare troppa attenzione al proprio smartphone in presenza in particolare dei figli peggiora le relazioni familiari e può provocare anche possibili ripercussioni sul benessere psicologico dei ragazzi. Soprattutto quando sono i ragazzi a cercare il dialogo con il genitore.
È il risultato dello studio portato avanti dall’Università di Milano-Bicocca, pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships, che rivela come l’uso pervasivo e decontestualizzato dei device digitali, nei momenti riservati tradizionalmente alle relazioni interpersonali, abbia ripercussioni negative sul benessere psicologico dei giovani, in particolare degli adolescenti.
Lo studio, dal titolo “Mom, dad, look at me”: The development of the Parental Phubbing Scale”, è il frutto della collaborazione multidisciplinare tra ricercatori del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca e di Sociologia e Ricerca Sociale dell’ateneo.
La base dello studio è stato il nuovo fenomeno del “phubbing”, termine composto da “phone”, telefono cellulare, e “snubbing” che significa snobbare. In pratica parliamo del comportamento per cui le persone, in un determinato contesto sociale, ignorano l’interlocutore diretto per prestare attenzione al proprio smartphone. Ad oggi, il phubbing era stato principalmente studiato all’interno delle relazioni lavorative e di coppia mentre la ricerca ha il valore di mostrare come chi subisce il phubbing ha sia ripercussioni negative sul proprio benessere psicologico ma svaluta la relazione con i colleghi o il partner che nei casi più gravi può addirittura arrivare a sviluppare sintomi depressivi. Prima di questo studio non esistevano misure in grado di rilevare il fenomeno del phubbing in ambito genitoriale, cioè la percezione che hanno i figli di essere ignorati dai loro genitori perché questi sono troppo spesso impegnati a prestare attenzione al proprio smartphone mentre si rivolgono a loro.
Per raggiungere l’obiettivo, il gruppo di ricercatori ha sviluppato il primo questionario per misurare il phubbing che i figli subiscono da madre e padre, raccogliendo dati su un campione di oltre 3000 adolescenti di età compresa tra i 15 e i 16 anni.
I risultati della ricerca hanno confermato l’ipotesi di partenza dei ricercatori, cioè gli adolescenti si sentivano maggiormente vittime di phubbing da parte dei loro genitori e si percepivano anche più distanti da essi, socialmente disconnessi, ignorati ed esclusi dal loro mondo.
Grazie a questa ricerca si è potuto legare lo studio di un fenomeno nuovo (il phubbing appunto) alla lunga tradizione di ricerca sulle esperienze di esclusione sociale che possono avere ripercussioni molto negative su chi le subisce, fino a portare il soggetto a sviluppi di tipo depressivo.
Come si legge in una nota dell’Ateneo Milanese ”Il phubbing è un fenomeno che si caratterizza a tutti gli effetti come forma di esclusione sociale, in particolare di ostracismo, ossia essere ignorati, diventare invisibili e sentirsi non esistenti in un dato contesto” A spiegarlo è Luca Pancani, psicologo sociale, uno dei ricercatori coinvolti nel progetto. Il phubbing puntualizza “ è particolarmente importante da studiare perché l’ubiquità dello smartphone fa sì che questo fenomeno di ostracismo possa essere agito da chiunque e in qualsiasi momento, accrescendo enormemente la possibilità di conseguenze negative per chi lo subisce”
E tutto questo assume una importanza ancora più rilevante come si evince dai risultati della ricerca, nella relazione genitori-figli, in cui lo stile parentale e la responsività alle richieste dei figli rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo adolescenziale.
Interessante anche l’analisi di Tiziano Gerosa uno dei sociologi che ha collaborato alla ricerca ”Pur essendo ormai radicato in molteplici ambiti relazionali, incluso quello familiare il phubbing rimane un fenomeno relativamente recente e non ancora regolato da esplicite norme sociali”.
Per norme sociali intendiamo i modi di comportarsi in determinati contesti e situazioni. E proprio questa ricerca e i relativi risultati, potranno incidere molto sulla costruzione di norme sociali che pongano dei limiti al phubbing anziché accettarlo in maniera passiva.
I ricercatori sostengono di essere solo all’inizio della ricerca sul phubbing genitoriale e hanno in mente una serie di studi futuri, tra i quali l’indagine della circolarità del fenomeno analizzando ad esempio il caso in cui siano i genitori a subirlo dai figli e ciò andrebbe ad alimentare un circolo vizioso e la costituzione di una norma sociale che potrebbe favorire ancora di più il phubbing e, quindi, accrescere le sue ripercussioni all’interno dell’intero contesto familiare.
Rimane tutto da scoprire se questo fenomeno possa essere presente anche nel rapporto tra Docente e alunno in caso di utilizzo di strumenti digitali in classe o nella didattica a distanza.
Il tablet o lo smartphone potrebbero essere fonte di distrazione durante la spiegazione da parte dello studente se in futuro saranno ammessi i cellulari in classe. O il fenomeno ancora più grave potrebbe essere quello del docente che si distrare con il suo smartphone magari durante una interrogazione.
Situazione estrema e ci auguriamo non accada mai, di certo il fenomeno del Phubbing come forma di esclusione sociale è importante che venga sempre più studiato ed analizzato dagli esperti nel campo della psicologia e della sociologia per evitare di avere sempre più effetti depressivi in ambito familiare perché capace di minacciare alcuni bisogni umani fondamentali come l’autostima, l’appartenenza, il senso di realizzazione e di controllo.
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