Le prove che ogni anno milioni di studenti italiani svolgono al termine della scuola secondaria di 1° e 2° grado rischiano di sparire. Almeno stando all’intenzione del Governo. L’atto numero 348 cancellerebbe una prassi ormai consolidata dal 2009, grazie alla quale è possibile valutare la didattica degli istituti scolastici.
«Il governo faccia dietrofront: non cancelli i test che secondo noi sono un presidio dell’equità del sistema scolastico – dichiara Fabrizio Azzolini, presidente di Genitori Insieme Onlus. I motivi sono vari – aggiunge -. In primo luogo, senza Invalsi, all’esame finale di terza media si fa un netto passo indietro rispetto alla normativa attuale che prevede lo svolgimento della prova nell’esame di Stato e la conseguente attribuzione del punteggio ottenuto da ogni studente.
Le famiglie non avrebbero più un dato affidabile sulla qualità di ciò che è stato appreso durante il percorso scolastico e che la scuola pubblica deve garantire.
Per quanto riguarda la conoscenza dell’inglese, le famiglie che non possono permettersi corsi di lingua e costose certificazioni rimarrebbero senza l’unica possibilità di ottenere una attestazione. E l’Italia, secondo il diritto allo studio sancito dalla nostra Costituzione, non può certo consentire ciò.
Non dimentichiamo inoltre che le prove nascono anche con l’obiettivo di comparare gli istituti nelle diverse regioni italiane sulla base di dati attendibili, in particolare in merito alla valutazione delle scuole secondarie di 2° grado.
E sempre in relazione alle prove standardizzate da svolgere durante l’ultimo anno delle superiori, la mancata attribuzione del punteggio impedisce la loro futura eventuale utilizzazione per semplificare e rendere più equa l’ammissione nelle facoltà universitarie anche per risparmiare agli studenti i notevoli costi relativi ai test di ammissione e alla frequenza di onerosi corsi ad hoc offerti da società specializzate.
Per ultimo, introducendo per legge le prove standardizzate Invalsi come formalmente “obbligatorie”, ma senza conservare traccia degli esiti di ogni studente, si rafforza un atteggiamento di disinteresse per le prove stesse. Infatti, se quello che conta è solo la partecipazione alle prove, ma non il risultato che ogni studente riesce ad ottenere, è evidente che potrà facilmente prevalere la tentazione di fare le prove “tanto per farle”.
L’Associazione – conclude Azzolini – invita quindi il Governo e tutte le forze parlamentari a non andare avanti nel proposito e di mantenere le prove, magari prendendo spunto da quest’occasione per migliorare il loro utilizzo».
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