Trent’anni fa ebbe inizio in questi giorni uno dei momenti più drammatici della storia del 900, che coinvolse un piccolo Stato dell’Africa centro orientale: il genocidio del Ruanda.
I fatti che hanno dato vita all’uccisione cruenta di quasi un milione di persone appartengono e risalgono alla storia travagliata del continente africano, che in quella zona aveva visto la dominazione e la colonizzazione di diversi paesi europei, Germania e Belgio in particolare.
L’esercito regolare e le milizie paramilitari in 100 giorni, dal 6 aprile al 16 luglio 1994, uccisero con ogni mezzo (machete, asce, lance, armi da fuoco) i tutsi – una delle tre etnie presenti storicamente in Ruanda – e gli hutu moderati, coloro cioè che pure appartenendo all’etnia che diede vita al massacro non vollero partecipare al genocidio. Lo sterminio terminò con la vittoria militare del Fronte patriottico ruandese (Fpr), espressione della diaspora tutsi, guidato da colui che ancora oggi, dopo essere stato eletto nel 2000, è il Presidente della Repubblica, Paul Kagame.
Oggi, mentre per una settimana il Paese si fermerà, con scuole chiuse, eventi sportivi ridotti, il Ruanda racconta e si racconta nel nome della riconciliazione, da tempo infatti numerosi sono stati gli sforzi per abolire forme di differenza etnica, in un territorio dove i tutsi, gli hutu e i twa (una minoranza di pigmei) continuano a convivere sullo stesso territorio.
Il 6 aprile 1994 il Presidente Habyarimana viene ucciso, abbattendo l’aereo sul quale si trovava. È l’inizio del genocidio.
Il gruppo degli Hutu Power diffonde una lista di 1.500 persone da uccidere per prime: le milizie paramilitare entrano in azione con barriere stradali, uccidendo a colpi di machete coloro che al controllo dei documenti hanno sulla carta d’identità l’appartenenza all’etnia tutsi.
In aprile gli europei vengono evacuati da Kigali e l’ONU decide di ritirare il contingente di pace, mentre sulle colline decine di migliaia di persone organizzano la resistenza. Il 4 luglio Kagame, a capo dell’esercito Fpr, entra a Kigali e il 16 luglio viene dichiarata ufficialmente finita la guerra civile.
Ancora oggi si continuano a trovare fosse comuni che erano state ben nascoste, come quella rinvenuta recentemente, con dentro 119 corpi.
Molti i libri e le autobiografie scritte dai sopravvissuti e numerosi anche i film dedicati, tra cui il famoso “Hotel Rwanda”, ispirato alla storia vera dell’hotel (ancora oggi tra i più importanti della capitale) dove si rifugiarono molti tutsi per scampare alla morte.
A Kigali, la capitale, esiste il Museo del Genocidio, dove si possono ripercorrere i tragici eventi del 1994.
L’UNESCO ha designato quattro siti commemorativi del genocidio come siti del patrimonio mondiale.
Per capire meglio il Ruanda del XXI secolo, che spicca nelle classifiche mondiali per essere tra i primi quattro paesi al mondo con la più alta partecipazione di donne alla vita politica e amministrativa, può essere significativo conoscere più da vicino il sistema scolastico e il livello di istruzione del Paese. Il tasso di alfabetizzazione complessivo è 71% circa (77% fra i giovani) e la scolarizzazione raggiunge il 99% circa. A Kigali, ma anche in altre città, ci sono numerosi istituti d’istruzione tecnica superiore e atenei.
Il Giappone ha realizzato da qualche anno il suo primo investimento nel settore dell’istruzione in Ruanda, per un valore di 92 milioni di dollari, per rilanciare il sistema educativo ruandese, colmare lacune e garantire un’istruzione di qualità per tutti.
Esiste nel Paese una grande le disparità tra aree rurali e urbane; inoltre, nell’istruzione elementare, il tasso di bocciature e di abbandono supera il 20%.
Nelle aree rurali sono presenti da decenni i salesiani, attivi nell’istruzione delle fasce più vulnerabili, soprattutto le ragazze, cercando di prevenire l’aumento del fenomeno in crescita delle gravidanze adolescenziali.
Nella capitale e in varie regioni opera con successo l’organizzazione internazionale SOS Villages, che ha al suo attivo scuole e centri di aggregazione.
Sono numerosi gli studenti e le studentesse ruandesi che scelgono di completare gli studi accademici in Italia, con una forte presenza in particolare al Politecnico di Torino.
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