Migliore strategia di promozione editoriale non poteva essere trovata per un libro – da lui stesso scritto, disegnato e pubblicato, fra il 1907 e il 1908, in cinquantacinque puntate sulla rivista che lui stesso dirigeva dall’anno precedente – che sarà stampato in centinaia di edizioni da allora fino ad oggi quando si stanno preparando solenni iniziative per festeggiare il centenario.
Il ragazzo pestifero torna di attualità e non tanto perché oggi va sempre più acquisendo consenso – nell’editoria generale, ed anche di quella per ragazzi – la legge della rilettura dei classici, ma perché richiama all’attenzione sui temi dei ragazzi irrequieti, un tempo…birbe…monelli, oggi…bulli o peggio fino all’assurdo riconoscere la liceità delle cure con psicofarmaci.
Il parallelismo con i nostri tempi è una delle letture che se ne possono dare stante il gran parlare che in questi ultimi tempi è stato fatto sui fenomeni di violenza adolescenziale anche nelle scuole per la complicità di strumenti scientifici divenuti diabolici, ma innumerevoli altre esistono oltre a quelle fin qui fatte.
Gian Burrasca è stato esaltato, e vituperato, come un frutto dell’anticonformismo più spinto fino all’anarchismo, come il figlio del nascente socialismo degli albori del secolo che sarà caratterizzato dal sorgere dei tante dittature, come un eroe contro le smanie del potere e dell’autorità.
Lo stesso Vamba è stato accusato di aver voluto esaltare l’indisciplina, la sfacciataggine, l’insubordinazione e gli altri lati di una fascia dei ragazzi anziché glorificare, come pure era costume dei tempi, l’attaccamento al dovere, il rispetto incondizionato per gli adulti, genitori o maestri, la laboriosità e tutti gli altri valori di cui apparentemente si alimentava la società del tempo..
Gina Burrasca, insomma, è stato letto attraverso il paradigma della pedagogia, della psicologia, dell’etica, della psichiatria fino a quello dello svelamento degli scheletri negli armadi dell’età più bella della vita proprio perché tante volte deve essere vissuta come quella descritta da Vamba. Con la lente, insomma, del un bambino che chiede, in quel modo, dagli adulti maggiore attenzione su di lui, che vuole essere ascoltato da una società ipocrita, tutta a misura dei figurini e delle maestrie dalla penna rosa di deamicisiana memoria.
Certo è facile dire che Gian Burrasca è la fotografia di quell’Italia piena di inquietudini, di ansie, di disagi di sofferenze, di dubbi di incertezze, di quella Italia che si preparava a respirare il socialismo, ma che poi si è trovata nelle braccia del fascismo.
Oggi, però, è difficile collocare i tanti nostri ragazzi violenti, i bulli insomma, nel dramma di un’età che è venuta fuori dal nulla, che di nulla si alimenta e che al nulla tende. Un’età, insomma, senza fondamenta valoriali e che non è capace di sognare un futuro e di impegnarsi per la costruzione dell’avvenire. Un’età che tutto aveva posto nel benessere, nella conquista di migliori condizioni di vita, ma che si accorge che la felicità sognata non è pensabile se fondata sulla falsità dei valor imperanti.
Una pre-adolescenza, la nostra, che è sancita dalle avventure di Harry Potter, ma alla quale mancherà sempre la…pappa col pomodoro di Rita Paone della versione televisiva.
Certo i tempi sono cambiati. E molto. A nove anni Gian Burrasca poteva fare quello che sappiamo dal suo diario. Era ricco di fantasia, di creatività, di grandi dosi di invenzione, infatti.
Ai nostri ragazzi di nove anni non resta, invece, che estirpare a uno zio l’unico dente, o colorare con lo smalto il cane. Come Harry Potter, del resto, anche se sembreranno più fortunati. Potranno sperimentare l’alta velocità, qualche droga e forse anche il sesso precoce. Sarà loro facile trasgredire con questi strumenti. Anche se poi molto difficile a da sbarazzarsi delle conseguenze delle trasgressioni.
Giovannino Stoppani, è finito nel riformatorio, ma ne sarà uscito sano e salvo una volta fattosi uomo. Dal bullismo, dalla droga, dalle violenze, insomma, non è detto che si uscirà sani e salvi. È più probabile con le…ossa rotte e, pure, con lo spirito sul lastrico.
Rileggere, allora, oggi a distanza di un secolo, Il Diario di Gian Burrasca è un invito che le varie ristampe vorranno rivolgere, a ragazzi ed adulti, per rileggere le avventure di uno dei ragazzi più discoli – più del Franti deamicisiano – del secolo scorso.
Cercare, così, di interpretare la voce dei ragazzi di oggi che, privi come sono di creatività e fantasia, sanno solo scaricare il loro disagio sui cellulari tanto che non v’è chi non veda che non basta proibirne l’uso, ma vedere come rendere migliore la scuola e farne un ambiente positivo di apprendimento e una palestra di vita.