Il 2020 sarà l’anno rodariano e già da settembre molte scuole, soprattutto del primo ciclo, inizieranno a lavorare per preparare le celebrazioni di quello che è ormai riconosciuto come il più importante scrittore italiano per l’infanzia del 900.
Ne parliamo con Pino Boero, docente di letteratura dell’infanzia presso l’università di Genova e profondo conoscitore dell’opera e del pensiero di Gianni Rodari
Professore, perché si parla di “anno rodariano”?
Nel 2020 ricorrono contemporaneamente 3 anniversari: il 100° dalla nascita, il 40° dalla morte e anche il 50° dalla attribuzione del Premio internazionale Andersen che è considerato una sorta di Nobel per la letteratura infantile
Sono solo due gli italiani ai quali è stato assegnato questo premio particolarmente prestigioso: Gianni Rodari nel 1970 e Roberto Innocenti nel 2008.
Gianni Rodari è notissimo agli insegnanti italiani per le sue Favole al telefono, per le filastrocche e per tanti altri libri. Meno nota è una sua opera secondo me importantissima che ci aiuta a capire meglio il suo pensiero. Parlo della “Grammatica della fantasia”.
Mi sembra che se ne sia quasi persa la memoria, perché ?
La Grammatica della fantasia è un libro pubblicato nel 1973 e che per un buon ventennio aveva riscosso un grande interesse. Ma quel contesto era molto diverso dall’attuale: quelli erano gli anni in cui nella scuola c’erano molti gruppi di insegnanti che lavoravano in un’ottica cooperativa e si muovevano quindi anche nella direzione dei principi rodariani. La scuola di oggi mi sembra un po’ regredita e burocratizzata. E di questo, secondo me, sono colpevoli anche i pedagogisti dell’area progressista che in molti casi hanno puntato sulla dimensione tecnologica e sulla forza della valutazione piuttosto che sul rapporto diretto, personale, empatico fra bambino e adulto.
Chiariamo meglio questo punto. Cosa intende dire?
Oggi molta della riflessione pedagogica ruota intorno ai problemi della valutazione, della programmazione scandita temporalmente: c’è troppa attenzione alle tante sigle sulle quali forse non si ironizza mai abbastanza (dal POF ai BES), insomma tutto il contrario di quello che Gianni Rodari e tanti maestri di quegli anni (penso a Mario Lodi, Albino Bernardini, Maria Luisa Bigiaretti e a tanti altri del Movimento di Cooperazione educativa) mettevano quotidianamente in pratica nel loro lavoro.
Se ne parla poco anche nei corsi universitari?
Purtroppo è successo che un testo, pure molto importante come Grammatica della fantasia, non sia entrato nei percorsi formativi dei nuovi insegnanti anche perché la stessa università, a sua volta, si è burocratizzata molto; ormai a parlare di Gianni Rodari e di Grammatica della fantasia, persino nei corsi di Scienze della formazione, siamo rimasti davvero in pochi, forse anche perché si è perso molto l’entusiasmo che aveva accompagnato la nascita dei primi percorsi universitari destinati ai docenti.
Va detto, però, che in questi anni si è formato un gruppo di docenti universitari di letteratura dell’infanzia che sta operando molto bene, anche se ciò che circonda non funziona correttamente. Un esempio fra tutti: la ricerca pedagogica in molti casi prende la direzione della filosofia dell’educazione; tutto legittimo a patto di non trascurare – come succede – la riflessione sulla pratica educativa.
A me pare poi che sia cambiato anche il profilo professionale dei dirigenti scolastici cui si richiedono sempre più competenze di diritto ed economia e minori competenze didattiche, pedagoiche, psicologiche… insomma esattamente il contrario della scuola che immaginavano negli anni ’70.
Lei continua sempre ad occuparsi di Gianni Rodari. In che modo?
Da tempo lavoro a percorsi di formazione e alla produzione di strumenti di lavoro per far conoscere il pensiero rodariano ai docenti e agli operatori culturali.
Con Walter Fochesato, studioso di letteratura per l’infanzia, abbiamo realizzato, ad esempio, un volumetto intitolato L’alfabeto di Gianni originariamente pensato per ragazzi ma, appena uscito, utilizzato anche dagli adulti… Forse c’è bisogno di Rodari in ogni fase della vita…
Per quanto riguarda altre iniziative, a Omegna, città natale di Rodari, abbiamo messo a punto con gli operatori del Parco della Fantasia un progetto di formazione per i docenti e bibliotecari: si tratta di un percorso inaugurato a Omegna ma destinato a toccare molte altre località italiane che l’hanno richiesto.
Rodari piaceva a chi era bambino negli anni 50 e 60 ma piace ancora ai bambini di oggi. Come lo spiega?
Rodari ha saputo essere moderno appoggiando i piedi sulla classicità; per esempio ha scritto tantissime fiabe moderne, ma ha sempre difeso le fiabe popolari della tradizione affermando che in queste è contenuta l’identità della nazione. In un dibattito degli anni ’70, a chi osservava che le fiabe tradizionali parlavano di boschi, principi e principesse che non esistevano più, Rodari replicava che le fiabe contengono il DNA della nostra cultura… insomma Rodari è un classico e proprio per questo è modernissimo.