“A noi Stato italiano cosa conviene? Alla fine ci conviene parità e costo standard”. Secondo Giannini, “i tempi sembrano maturi perché questo possa avvenire e mi parrebbe curioso che nell’ambito della scuola questa coraggiosa azione di riforma strutturale non avvenisse”.
Due gli ostacoli all’orizzonte. “Primo – dice la ministra – i pregiudizi culturali. Pensi alla discussione veramente fuorviante che abbiamo avuto lo scorso anno a proposito del referendum sulle scuole paritarie a Bologna. Mi stupì che anche persone di alto livello culturale sostenessero allora che pubblico è sinonimo di statale”.
“La prima condizione – spiega Giannini – è che la parità scolastica non sia più un tema di parte e, per dirla brutalmente, il tema di una certa sinistra che è contro il paritario perché diventa privato, perché diventa cattolico e perché diventa clericale. Ma è e dev’essere un tema condiviso alla luce di uno schema europeo e di un principio di libertà di scelta educativa che è principio inoppugnabile, qualunque sia la politica alla quale si appartenga”. Il secondo problema è, secondo la ministra dell’Istruzione, quello dei costi che potrebbe essere superato con “l’applicazione del costo standard”.
Senza questi interventi, secondo la titolare del dicastero dell’Istruzione, “tra cinque-sei anni, il sistema delle paritarie si spegnerebbe. Ma se si spengono le paritarie, saranno 6 miliardi e spiccioli in più che graveranno sul bilancio del già oneroso bilancio dello Stato”.
“Dunque – conclude la ministra – al di là delle considerazioni culturali e di principio fatte sopra, mettiamoci pure la benda della cecità politica: a noi Stato italiano cosa conviene? Alla fine ci conviene parità e costo standard”. (LaPresse)
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