Dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, c’è piena sintonia con i contenuti del DEF, il Documento di economia e finanza approvato l’8 aprile dal Consiglio del ministri. Il giorno dopo, il responsabile del Miur, lo confida ai giornalisti a margine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Perugia: “ieri era la parte narrativa, poi ci saranno i numeri e quando parleremo di questi, vedremo se, come credo, questo sarà il primo e io il primo ministro della parte repubblicana post-bellica che non subisce tagli”.
Giannini sostiene che nel Documento di economia e finanza “tutte le nostre proposte programmatiche sono state inserite. C’è una parte molto corposa sulla scuola, sull’università e sulla ricerca. Ci attendiamo – ha concluso il ministro – che ci sia una coerenza a mantenere questo come un settore prioritario”.
Di diverso avviso sono invece i sindacati. Per la Gilda “Molte parole ma poca sostanza”. Così la Gilda degli Insegnanti giudica il Def, Documento di economia e finanza approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, nella parte riguardante la scuola. “Nulla dice – spiega Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda – sugli stanziamenti per l’istruzione. Nessun accenno anche ai fondi necessari per la ‘revisione, in ottica di valorizzazione del merito, del contratto degli insegnanti e del loro metodo di reclutamento’. Resta da capire quanto voglia investire il Governo su questo fronte, a meno che – prosegue Di Meglio – l’intenzione sia quella di fare il gioco delle tre carte, utilizzando le modeste risorse riservate agli scatti di anzianità per finanziare il merito”.
“Se il Governo ha intenzione di sedersi al tavolo dell’Aran per ridiscutere soltanto la parte normativa del contratto lasciando invariata quella economica, – chiude il coordinatore nazionale – la Gilda si opporrà. Gli stipendi degli insegnanti italiani sono stati erosi dall’inflazione e, con le retribuzioni bloccate agli attuali livelli, i docenti rischiano la proletarizzazione”.
Amaro è anche il commento dell’Anief. Che si sofferma sull’aumento di 80 euro per gli stipendi inferiori a 1.500 euro: “può essere considerato solo un acconto”, tuona il sindacato autonomo. “A conti fatti – spiega Marcello Pacifico, che dell’Anief è presidente – se si dovessero adeguare gli stipendi sotto i 25 mila euro al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 bisognerebbe assegnare 93 euro lordi al mese. Ma dall’anno 2010: altro che 80 euro da maggio, il Governo dovrebbe mettere sul piatto 5 mila euro lordi di arretrati a dipendente. Ma se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei colleghi OCDE, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, la cifra quintuplica perché – continua Pacifico – a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8 mila euro: quindi, servirebbero subito 5 miliardi. E ne servirebbero altri 20 per adeguare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media dei Paese dell’OCDE. Altro che i 3,5 miliardi prelevati dalla spending review”.