Rispondendo ad una domanda, Giannini ha chiarito che l’Invalsi “non è l’unico strumento possibile, ma va perfezionato e inserito in un contesto di perfezionamento complessivo della scuola, nonostante le proteste non silenti di questi giorni”.
La ministra, nel suo intervento, ha posto l’accento sulla necessità di “lavorare insieme a un sistema integrato dell’educazione che restituisca la funzione pubblica dell’istruzione, ovvero di essere portatrice di bene comune”. Scuola pubblica, cioè, non significa “gestita dallo Stato, ma del pubblico, del bene comune”.
In sostanza, per Giannini, ciò che va garantita è la “libertà di scelta educativa”, mettere dunque “la famiglia nella libertà di scegliere il proprio e più confacente modello educativo”.
Di qui la necessità, più volte ribadita da Giannini, di “attuare la legge Berlinguer anche in conseguenza della recente raccomandazione europea” che riguarda proprio la pluralità di proposte educative della scuola italiana. Per Giannini, inoltre, “tutta la scuola deve rispondere ad un criterio di accountability. Ciò vale per le università ma vale anche per la scuola”. Per la ministra, infatti, “la valutazione possibile significa anche autonomia dell’istituto”.
La titolare del dicastero dell’Istruzione ha posto quindi l’accento anche sulle fragilità della scuola italiana, evidenziando innanzitutto che “non è più un elevatore di persona e di riscatto sociale; non è più un ascensore sociale e di mobilità”. In secondo luogo, altro elemento di fragilità, “viene meno il ruolo di formazione umana”. Prova ne è la dispersione scolastica che “in alcune regioni è davvero drammatica”.
Terzo elemento di debolezza, secondo Giannini, è “il ruolo e la capacità di integrare. La scuola, come diceva don Milani, deve rendere tutti uguali. E quella italiana non lo fa”. Infine, il ministro sottolinea “l’inadeguatezza nel fronteggiare la forte disparità tra Nord e Sud. Un compito che spetta soprattutto al governo centrale, soprattutto ad un governo che ha messo al centro il progetto educativo”.
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