Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara questa mattina, venerdì 27 gennaio, in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, ha pronunciato al Quirinale un discorso che ha già inviato a tutte le scuole italiane.
Ecco il discorso integrale.
Signor Presidente, autorità presenti, studenti in rappresentanza degli istituti scolastici, signore e signori presenti o che ci seguono a distanza,
desidero iniziare questo mio breve intervento ricordando che quest’anno ricorrono i 75 anni dalla entrata in vigore della nostra Costituzione. Leggerne i lavori preparatori è un’esperienza affascinante. C’è in particolare un intervento molto bello -la Relazione di Giorgio La Pira sui Principi relativi ai rapporti civili- che riassume il principio personalistico della nostra Carta, ovverosia la centralità della persona umana, il suo primato rispetto allo Stato, l’essere al centro di una serie di relazioni sociali: non dunque l’uomo isolato in sé stesso, ma come entità capace di pensare e di amare ovvero di avere sentimenti verso l’altro. La persona dunque è individuo, ma non individuo isolato, privo di legami ed esente da responsabilità nei confronti degli altri componenti la società.
L’intervento di La Pira e più in generale il senso ultimo della nostra Costituzione si concepiscono come reazione al totalitarismo, e alla barbarie, nazifascista.
I campi di sterminio di Birkenau e di Auschwitz sono il simbolo paradigmatico di quella barbarie.
È rimasto all’ingresso del campo di Birkenau un carro bestiame, su quel carro sono state trasportate migliaia di persone che avevano sogni, speranze, paure, sentimenti simili a quelli che ognuno di noi nella sua vita ha provato. Il 27 gennaio del 2000, quando ero assessore alla provincia di Milano ed era stata da poco istituita la Giornata della Memoria, invitai Liliana Segre a parlare davanti a circa un migliaio di ragazzi come voi. Nel suo racconto mi colpì fra le tante cose la amara tenerezza con cui ricordava come poco prima di essere deportata ad Auschwitz suo padre le avesse regalato una bicicletta, pensai a quando mio padre mi regalò la mia prima bicicletta. In suo padre vedevo il mio, in lei vedevo me stesso.
Nel museo di Auschwitz qualche settimana fa ho visto oggetti che ancora oggi esprimono la quotidianità di tanti di noi. Erano le povere cose di donne e di uomini massacrati dalla ferocia criminale del nazismo. Il nazismo, certo.
Non possiamo però dimenticare che decine di migliaia di italiani di religione ebraica sono stati sterminati per colpa del collaborazionismo del regime fascista che consentì e anzi favorì la loro deportazione. Non possiamo dimenticare che già il decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938, contenente Provvedimenti per la difesa della razza, vietò alcuni diritti fondamentali ai cittadini ebrei, e che poi l’articolo 1 comma 3 del codice civile del 1942 limitò la capacità giuridica ai cosiddetti non ariani e in special modo agli ebrei.
Gli antichi avevano il culto della memoria. La memoria serve per avere ben fissi nella nostra mente certi eventi, e con essi certi valori. Il ricordo di Auschwitz appartiene al nostro patrimonio culturale.
Quando avevo 21 anni le istituzioni non organizzavano viaggi della memoria, mi organizzai il mio viaggio della memoria e visitai il campo di concentramento di Dachau. Quelle immagini terribili mi sono rimaste nella mente e nel cuore, le porto dentro di me come vaccino e monito perenne: mai più. Come ebbe a dire Lei, signor Presidente, nel suo discorso del 2021 “tutte le volte ci accostiamo al tema della Memoria con commozione e turbamento”.
Ed è per questo che ritengo importante che il Senato il 18 gennaio scorso abbia approvato l’istituzione di un apposito fondo presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito con una dotazione di 6 milioni di euro per promuovere e incentivare i “viaggi della memoria”.
Ricordare è ancora più importante oggi che sta rinascendo l’antisemitismo in Europa. Un documento della Commissione europea attesta come il 38% dei cittadini europei di religione ebraica abbia paura e pensi di andarsene dal nostro Continente, erano il 7% nel 2008. In alcune città europee si ha timore ad indossare la Kippah. Se questo accade significa che abbiamo sbagliato qualcosa, che non abbiamo ricordato abbastanza. Non deve dunque stupire che percentuali crescenti di giovani europei non abbiano mai sentito parlare della Shoah, percentuali che raggiungono il 25% in Francia. L’antisemitismo ha tante facce, ma ha alla base un unico problema: la incapacità di chi, perso nelle nebbie o negli abissi del proprio sé, non sa immedesimarsi nell’altro, non sa sentire l’altro, chiunque esso sia.
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