Attualità

Giornata delle donne nella scienza: quando si diceva che l’istruzione avrebbe compromesso la fertilità

L’11 febbraio è stata istituita la giornata internazionale delle donne nella scienza, e noi ne parliamo da un punto di vista storico.

Sappiamo, ma è sempre il caso di ricordarlo e ripeterlo, che negli ultimi secoli, le donne sono state escluse dalla vita sociale, sono state emarginate e vessate. E i nonostante la progressiva diffusione del pensiero scientifico e di ideali nobili, come democrazia, libertà, uguaglianza, il mondo della scienza, purtroppo, non ha fatto eccezione.

La prima donna a laurearsi fu Elena Cornaro Piscopia, a Padova nel lontano 1678. Elena discusse in latino le sue tesi in Filosofia e nonostante la sua bravura non le fu mai concesso di insegnare. Nel secolo successivo, sempre in Italia, ma questa volta a Bologna, Laura Bassi, la bolognese filosofessa, riuscì non soltanto a laurearsi in Filosofia, ma anche ad ottenere una libera docenza prima in filosofia e poi in fisica sperimentale.

Elena e Laura furono certamente due donne straordinarie che meritavano probabilmente più successo e visibilità di quella che non poterono avere, come tutte le donne del loro tempo. La loro tuttavia fu un’eccezione alla regola che precludeva a ogni donna la possibilità di studiare e di ricoprire incarichi. E nonostante nel corso dell’Ottocento, in Italia così come nel resto del mondo, iniziarono a emergere alcune donne nel panorama scientifico, la situazione generale non cambiò molto.

Pensate che ancora nel 1873 il medico americano Edward Clarke professore alla Harvard Medical School si schierò contro l’istruzione superiore femminile perché convinto che questa avrebbe nuociuto alla fertilità delle donne. Clarke sosteneva infatti che la legge della conservazione dell’energia si dovesse applicare al corpo femminile (e non sappiamo come mai, non a quello maschile) e che un eccessivo sforzo del cervello avrebbe compromesso lo sviluppo delle ovaie e dell’utero. Pur non presentando prove significative, la sua teoria fu presa in seria considerazione, fino a quando quattro anni dopo la dottoressa Mary Putnam Jacobi non presentò il risultato di studi molti approfonditi che sbugiardavano Clarke. Inutile dire però che l’idea del medico statunitense non era che l’espressione più evidente di un punto di vista largamente condiviso.

Pochi anni dopo Marie Curie in Francia, nonostante tutte le difficoltà che una donna, peraltro immigrata, aveva dovuto affrontare, vinse due premi Nobel (in fisica nel 1903 e in chimica nel 1911) sacrificando la sua stessa salute pur di donare al genere umano enormi conoscenze sulla radioattività, conoscenze che hanno cambiato la nostra vita. Da madre trasmise a sua figlia Irene la stessa passione per la scienza e Irene non fu da meno, perché vinse il premio Nobel per la chimica nel 1935.

Ma la giornata che celebriamo oggi è di grande valore perché se pensiamo ai premi Nobel dobbiamo sempre ricordare che dal 1901 al 2016 sono stati assegnati 885 premi a individui e 26 a organizzazioni. Di questi solo 49 a donne e solo 16 per le scienze. Questi numeri ci ricordano molto bene quanta strada è ancora da fare per permettere che in tutto il mondo le donne siano messe in grado di fornire il loro contributo alla scienza. Non è questione di bene di genere o di una parte, ma limpida consapevolezza del fatto che renderemmo il nostro mondo un posto molto più bello e che tutti ne trarrebbero giovamento.

Dario De Santis

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