Istituita dalla Conferenza generale dell’Unesco nel 1999 e celebrata (a partire dall’anno seguente) il 21 febbraio, la Giornata internazionale della lingua madre intende promuovere la diversità linguistica e culturale e il multilinguismo. Nel 2007 è stata riconosciuta dall’Assemblea generale dell’Onu.
Il giorno in cui si celebra è stato scelto per ricordare il 21 febbraio 1952, quando diversi studenti bengalesi dell’Università di Dacca furono uccisi dalle forze di polizia del Pakistan (che allora comprendeva anche il Bangladesh) mentre manifestavano per il riconoscimento del bengalese come una delle due lingue ufficiali, in quel periodo, del Pakistan.
La XXIV edizione della Giornata internazionale della lingua madre ha come tema principale “L’educazione multilingue: una necessità per trasformare l’istruzione”.
Leggiamo in una pagina del sito unesco.org: “L’istruzione multilingue basata sulla ‘lingua madre’ facilita l’accesso e l’inclusione nell’apprendimento per gruppi di popolazione che parlano lingue non dominanti, lingue di gruppi minoritari e lingue indigene”.
Il discorso sulla Giornata internazionale della lingua madre ci porta anche a ricordare che sul territorio dello Stato italiano sono presenti numerose comunità minoritarie, diverse per lingue e tradizioni culturali. Come ci segnala anche il Ministero dell’istruzione in un’apposita pagina del suo sito web, “le comunità di lingua minoritaria, presenti in Italia, tradizionalmente vivono:
Viene anche evidenziato che “le minoranze linguistiche riconosciute e tutelate dalla legge sono dodici: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”.
L’importanza di salvaguardare la diversità linguistica e culturale (anche appunto attraverso la promozione della ‘lingua madre’) e tutelare le minoranze rappresenta anche un deterrente contro i conflitti. Forse in qualche caso, Donbass compreso (per fare un esempio di drammatica attualità) – invece di istituire, nel 2019, una “legge che toglie alle lingue minoritarie, russo compreso, lo status di lingue regionali e limita drasticamente il loro utilizzo nella sfera pubblica”, come leggiamo in una pagina di infodata.ilsole24ore.com, anche se ovviamente le condizioni che hanno portato prima al conflitto nel Donbass, con relativi duplici accordi di Minsk sull’autonomia di quei territori mai attuata, poi all’invasione russa dell’Ucraina, sono più complesse e articolate e non si riducono al problema, seppure reale, delle tutele linguistiche -, garantire una adeguata autonomia amministrativa, magari pure in ambito educativo, può evitare successivi attriti che rischiano di degenerare in eventi tragici.
Peraltro nelle stesse Norme minime per le minoranze nell’Ue (2018/2036(INI)) si evidenzia che “ciascuna persona appartenente a una minoranza nazionale ha il diritto all’istruzione in una lingua minoritaria” e che “la continuità dell’istruzione nella lingua materna è essenziale per preservare l’identità culturale e linguistica”. Tali norme osservano inoltre che “la lingua è un aspetto essenziale dell’identità culturale e dei diritti umani delle minoranze; sottolinea la necessità di promuovere il diritto di utilizzare una lingua minoritaria sia nel privato che in ambito pubblico senza alcuna discriminazione, nelle zone con un numero considerevole di persone appartenenti a minoranze, per garantire che la lingua possa essere tramandata da una generazione all’altra e per tutelare la diversità linguistica”.
Un esempio “virtuoso” può essere considerato proprio quello della provincia di Bolzano, che gode (come peraltro quella di Trento) di un’ampia e strutturata autonomia. In Alto Adige, per quanto concerne ad esempio la scuola, convivono sistemi scolastici distinti: scuola di lingua tedesca e scuola di lingua italiana (diversi per organizzazione funzionale e amministrativa, in base alla lingua parlata – prima lingua, o L1); ladina, fondata su un modello scolastico paritetico caratterizzato da un equilibrio linguistico-culturale tra le lingue di insegnamento, l’italiano e il tedesco, e dall’impegno per preservare e sviluppare la lingua e cultura ladina (uno degli obiettivi principali dell’ordinamento scolastico ladino, oltre alla preservazione e alla promozione della lingua ladina, è la competenza paritetica in italiano e tedesco).
Oltre alla minoranza linguistica tedesca – ovviamente rispetto al dato nazionale – e ladina in Alto Adige-Sudtirolo (peraltro il ladino è parlato da minoranze, poco numerose, che vivono anche in alcune valli del Trentino, del Veneto, del Friuli) va evidenziata la situazione della minoranza linguistica slovena in alcune zone del Friuli Venezia Giulia, nelle province di Trieste e Gorizia operano scuole con lingua d’insegnamento slovena. La loro peculiarità è di veicolare tutti gli insegnamenti, ad eccezione dell’italiano e delle lingue straniere, attraverso l’uso della lingua slovena che è considerata prima lingua (L1). Diverso invece è il modello di insegnamento in un comune della provincia di Udine nel quale si impartisce, in un istituto comprensivo, l’istruzione anche in lingua slovena.
Un altro esempio “virtuoso” cui guardare in questo campo è la Svizzera, che ha sentito il bisogno di avere tra le proprie lingue di Stato anche quella parlata dal 10% della popolazione (lingua italiana, a fronte della maggioranza che parla il tedesco e un’altra parte consistente che parla il francese), tutelando anche la lingua di meno dell’1% della popolazione che parla romancio.
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