Si celebra il 3 maggio la Giornata mondiale della libertà di stampa e ci attendiamo (a parte una riflessione sui dati della classifica stilata da Reporters sans frontières: l’Italia nel 2022 è scivolata al 58° posto) sottolineature (legittime e giuste) riguardanti Paesi dove la libertà di stampa è assai limitata o non esiste proprio e dove impera la censura, facendo nel contempo magari intendere che la libera informazione nel mondo occidentale sia accertata e consolidata. Il problema è che le “lezioncine” non ci bastano e noi alla democrazia occidentale chiediamo uniformità di giudizio (proprio perché vogliamo mantenere valori democratici).
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E invece, in relazione alla libertà/dovere di informazione e alla censura (manifestata – nel caso specifico di cui stiamo per scrivere – in maniera persecutoria e violenta) non solo i governi ma anche la maggior parte della stampa cosiddetta “libera” hanno lasciato calare il silenzio – ad eccezione di alcune voci dissonanti e di qualche addetto ai lavori che non rinuncia al pensiero critico – su una vicenda (non la sola, ma la più eclatante e imbarazzante per il “mondo occidentale”) che definire vergognosa è solo un eufemismo: quella del giornalista d’inchiesta Julian Assange.
Anche alcune scuole hanno dedicato, nel contesto di specifici progetti, un percorso riguardante riflessioni sulla libertà di informazione e sulla censura al giornalismo d’inchiesta
Della storia professionale e giudiziaria del giornalista australiano che ha svelato crimini di guerra e violazioni dei diritti umani durante le guerre in Afghanistan e in Iraq, abbiamo scritto diversi articoli (anche in relazione a iniziative di alcune scuole che hanno deciso di dedicare un percorso, nel solco di progetti collegati all’educazione civica nell’ambito della libertà di informazione e della censura al giornalismo d’inchiesta o alla proposta di audiovisivi nel contesto dell’educazione alla legalità e del libero pensiero), a iniziare da quello pubblicato proprio nel giorno in cui, nell’aprile di un anno fa, la Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione di Assange negli Usa, poi ratificato dall’allora ministra dell’interno del governo britannico.
Già in passato, organizzazioni umanitarie come Amnesty International, che ha espresso gravi preoccupazioni anche per il serio deterioramento della salute di Julian Assange (il portavoce della sezione italiana di Amnesty International, Riccardo Noury, peraltro, ha evidenziato che “dal punto di vista della violazione dei diritti umani non è una storia controversa, ma cristallina: non c’è un processo equo e non ci sono accuse fondate”), denunciano l’inchiesta di Washington contro il cofondatore di WikiLeaks alla stregua di una persecuzione politica e di una minaccia al giornalismo, mentre chiedono da tempo invano al Regno Unito di rilasciarlo.
Amnesty International ha anche lanciato una petizione a favore della scarcerazione del giornalista australiano, precisando tra l’altro che “pubblicare informazioni che sono di interesse pubblico è una pietra angolare della libertà di stampa e del diritto dell’opinione pubblica a conoscere le malefatte dei governi” ed è “un’attività protetta dal diritto internazionale”.
L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (da non confondere con l’Ue) definisce, all’interno di una propria risoluzione, il caso Assange un precedente pericoloso per i giornalisti
Su questo specifico argomento è intervenuta Dunja Mijatovic, commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa (principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, da non confondere con l’Ue), affermando che “le conseguenze della possibile estradizione di Assange sui diritti umani vanno ben oltre la sua persona perché le accuse che gli sono rivolte sollevano importanti questioni sulla protezione di coloro che pubblicano informazioni riservate nell’interesse dell’opinione pubblica”. E il 28 gennaio 2020, “l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, all’interno della risoluzione 2317 (2020) Minacce alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti in Europa, ha approvato all’unanimità un emendamento con cui indica agli Stati membri di considerare la detenzione e i procedimenti penali contro Julian Assange quale un precedente pericoloso per i giornalisti”.
Preoccupazioni per il serio deterioramento della salute di Julian Assange erano state evidenziate già qualche tempo fa anche da Nils Melzer, in quel periodo “Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura”, che ha pure sostenuto come il giornalista australiano sia stato inoltre sistematicamente diffamato per danneggiarne l’immagine personale (peraltro il pubblico ministero svedese, nazione in cui Assange aveva un’accusa di reato, ha annunciato che l’indagine era stata archiviata a partire dal 19 novembre 2019), nonché che la sua prolungata reclusione in una prigione di massima sicurezza non è né necessaria né proporzionata e manca di qualsiasi base giuridica, come riportato sul sito wired.it che ricorda anche i precedenti 550 giorni di arresti domiciliari e quello che viene definito “il confino nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, durata quasi sette anni” (in cui il cofondatore di WikiLeaks si era rifugiato), precedenti alla detenzione da quattro anni in un carcere di massima sicurezza.
Nils Melzer, già “Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura”, che aveva espresso tempo fa preoccupazioni per il deterioramento della salute di Assange, parla di persecuzione spietata e di tradimento vergognoso della giustizia e dei diritti umani
Adesso Nils Melzer ha scritto un libro, ‘Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione’ (tradotto da Alessandro de Lachenal e Viola Savaglio per Fazi editore), che – come scritto in un articolo riportato qualche giorno fa su micromega.net – fa giustizia di molte falsità e preconcetti su questa complessa vicenda che riguarda non solo la libertà di stampa e i giornalisti in particolare, ma anche i governi degli Stati più avanzati dell’Occidente. Il volume si avvale di una prefazione della giornalista d’inchiesta Stefania Maurizi, che ha incontrato Assange mentre si trovava nell’ambasciata ecuadoriana di Londra e ha scritto il resoconto della vicenda nel suo libro ‘Il potere segreto’ (pubblicato da Chiarelettere).
“La persecuzione spietata a cui è stato sottoposto Julian Assange e il tradimento vergognoso della giustizia e dei diritti umani, dimostrato da tutti i governi coinvolti, sono più che indecenti” – sostiene Melzer – e “minano a fondo la credibilità, l’integrità e la sostenibilità della democrazia occidentale e dello Stato di diritto. La persecuzione di Assange stabilisce un precedente che non solo consentirà ai potenti di tenere segreti i loro crimini, ma renderà persino perseguibile per legge la rivelazione di quei crimini. Nel momento in cui dire la verità sarà diventato un crimine, vivremo tutti nella tirannia”. Parole forti da parte di chi ha rivestito all’Onu un incarico importante e delicato.
La moglie di Juilian Assange, Stella Moris, ha partecipato lo scorso 27 aprile a un incontro presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, che ha lanciato un appello ai governi per la liberazione del giornalista australiano
Il volume è stato presentato in Italia lo scorso 27 aprile presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), che iscrivendo Assange al sindacato italiano dei giornalisti ha lanciato un appello ai governi per la sua liberazione: era presente Stella Moris, moglie di Assange (l’avvocata sudafricana per i diritti umani ha sposato in carcere il giornalista, da cui ha aveva avuto due figli), la quale a Roma ha anche incontrato gli attivisti di ‘Free Assange Italia’, che hanno organizzato eventi e manifestazioni insieme ad altre associazioni in difesa del giornalista australiano, tra cui anche l’Anpi – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
Successivamente Stella Moris si è recata a Napoli per aprire il Festival Internazionale di Giornalismo civile, che dal 2015 dà voce a quei giornalisti sottoposti a censura e perseguitati nei loro Paesi e che si è svolto presso l’Istituto italiano per gli studi filosofici: in tale occasione ha ritirato il Premio Pimentel Fonseca, che, consegnato da Giuseppe Giulietti fondatore e coordinatore nazionale di Articolo21, le è stato attribuito nell’ambito della VIII edizione del Premio che ricorda la patriota napoletana (fondatrice del giornale “Monitore Napoletano”) che nel 1799 fu uccisa durante i moti rivoluzionari napoletani. E il vicesindaco del capoluogo partenopeo, Laura Lieto, intervenendo in rappresentanza del sindaco Gaetano Manfredi alla consegna del premio ha detto che c’è l’intenzione di portare avanti l’iniziativa per dare la cittadinanza onoraria a Julian Assange.
Su ‘MicroMega.net’ leggiamo, inoltre: “Occorre combattere la disinformazione vergognosa che ha reso possibile la distruzione di Assange. Bisogna impedire che si consumi l’atto definitivo di questa ingiustizia mostruosa: l’incarcerazione a vita del fondatore di WikiLeaks per aver rivelato crimini di guerra e torture”.
Stefania Maurizi sottolinea: “se non lo impediremo, la nostra società imboccherà una via autoritaria, perché solo nelle società autoritarie i giornalisti non possono rivelare gli sporchi segreti dei loro governi”. In realtà se l’estradizione negli Usa del giornalista australiano avvenisse adesso, in una fase mondiale assai particolare (anche in relazione alle accuse di mancanza della libertà di informazione in altri Paesi), probabilmente creerebbe ancora più imbarazzo nel governo britannico e in quello statunitense, perché inevitabilmente metterebbe ancora più “in copertina” il caso Assange. E qualcuno magari comincia a pensare che forse c’è chi si augura che il giornalista australiano… termini i suoi giorni – senza clamore mediatico – nel carcere in cui è rinchiuso.
Stella Moris è intervenuta anche nel contesto del convegno “Il caso Assange e il diritto alla verità”, svolto presso la Camera dei deputati e promosso dall’europarlamentare Sabrina Pignedoli e dalla deputata Stefania Ascari, entrambe del Movimento 5 Stelle. Durante il convegno il presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, ha ricordato come l’Odg abbia dato la tessera d’onore ad Assange che “non è né una spia, come molti erroneamente hanno detto, né uno che ha comprato o trafugato documenti riservati mettendo a rischio, come sostengono gli americani, la vita di molte persone”, aggiungendo: “Assange è solo un editore che ha divulgato dei documenti che era nell’interesse di tutti conoscere e che nel farlo ha messo al riparo tutte le persone coinvolte, oscurando nomi e riferimenti”.
In effetti, “nel 2010 – si legge in una pagina de ilGiornale.it – in una sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’allora vicepresidente americano Joe Biden ammise addirittura che le pubblicazioni di WikiLeaks non avevano causato ‘danni sostanziali’ al suo governo, a parte un certo ‘imbarazzo’. Ma chiaramente le informazioni che trapelavano erano ben più che imbarazzanti: mettevano in pericolo l’impunità di ufficiali a tutti i livelli della catena di comando riguardo a crimini di guerra, torture e corruzione”.
Il presidente del Consiglio nazionale dell’Odg sottolinea “l’amarezza per l’assenza di larga parte del sistema informativo italiano” su una vicenda così importante, nell’interesse dell’opinione pubblica e a tutela del giornalismo d’inchiesta
Il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti già in passato aveva manifestato “l’amarezza per l’assenza di larga parte del sistema informativo italiano su una vicenda che invece interessa alla gente”. Sinora la stampa (anche italiana, e per il giornalista, già inviato di guerra, Alberto Negri, “la nostra stampa dovrebbe vergognarsi, perché la complicità e il silenzio uccidono il giornalismo“) non ha largamente brillato (tranne eccezioni) per fare conoscere il reale contesto delle vicende giudiziarie del giornalista investigativo australiano, anche a protezione di coloro che pubblicano informazioni, seppure ritenute “riservate” (ma qui si parla di crimini di guerra e violazione dei diritti umani), nell’interesse dell’opinione pubblica e a tutela futura del giornalismo d’inchiesta.
“E non è solo la libertà d’informazione, ma anche quella d’espressione dei cittadini che va difesa” – sottolinea Bartoli – perché con l’”ingiusta detenzione” del fondatore di WikiLeaks “si sta mettendo in discussione anche lo stesso Primo emendamento della Costituzione americana che difende la libertà di parola e di pensiero e questo è già di per sé paradossale”.
WikiLeaks ha ricevuto, e non “trafugato”, informazioni, documenti e video. E l’Occidente non può tollerare le manovre per cancellare diritti fondamentali o nascondere crimini di guerra dovunque e da chiunque siano stati commessi
E’ bene precisare, tra l’altro, che WikiLeaks ha ricevuto, e non “trafugato”, informazioni, documenti e video. E questa è la discriminante: Assange, peraltro cittadino australiano, non dovrebbe essere accusato di spionaggio in quanto secondo le accuse mosse negli Usa al militare statunitense Manning è stato proprio l’analista di ‘intelligence’ a fornire documenti riservati. E per il suo lavoro di documentazione giornalistica a Julian Assange – il quale per tali rivelazioni e per la sua attività di informazione e trasparenza in passato aveva ricevuto svariati encomi e riconoscimenti da privati e personalità pubbliche – non può essere mossa un’accusa di spionaggio, come insinuato, direi vergognosamente, persino da una testata giornalistica del mainstream nostrano!
Abbastanza dettagliato il video denominato ‘Collateral Murder’, proposto in Italia tempo fa anche dalla trasmissione “Presa diretta” condotta dal collega Riccardo Iacona, nella quale tra l’altro veniva documentato appunto il suddetto video che mostra militari americani che sparano da un elicottero contro obiettivi civili inermi che vengono uccisi a Baghdad (capitale dell’Iraq), tra cui un fotoreporter e un altro collaboratore della Reuters, sparando successivamente anche sull’unico superstite che era a terra ferito e sui soccorritori (ferendo gravemente anche due bambini che erano nel veicolo di uno dei soccorritori).
Come abbiamo già scritto in passato, l’Occidente, in una fase storica in cui giustamente si sottolineano situazioni di pesanti censure alla libertà di stampa e di informazione, non può tollerare o peggio nascondere le manovre per cancellare crimini di guerra e diritti fondamentali laddove ciò è perpetrato da “questa parte” del mondo.
Charles Michel, che rappresenta l’Ue come presidente del Consiglio europeo, durante la sua visita in Ucraina ha detto che “la storia non dimenticherà i crimini di guerra”. Osservazione corretta, auspichiamo che intenda tutti i crimini di guerra, dovunque e da chiunque siano stati commessi.
Altrimenti potremmo tacciare di “ipocrisia” l’establishment dei Paesi occidentali e magari sorridere amaramente sul “catalogo di consigli” che il Parlamento europeo ha diffuso (come leggiamo in articolo pubblicato ieri su questa stessa testata on line) per evitare le “fake news” e “riconoscere il vero dal falso” (a tal proposito: le informazioni fornite da WikiLeaks, che hanno causato i tanti guai di Julian Assange, sono appunto… documentate!). Tra i consigli: “I fatti e le cifre sono accurati? L’articolo è di parte? Controlla l’organo di stampa. L’autore usa fonti affidabili? La storia pubblicata potrebbe essere una versione distorta di eventi reali o passati. Se un fatto è realmente accaduto, verrà riportato dagli organi di stampa affidabili”. Ma chi decide se i fatti sono accurati e quali sono gli organi di stampa affidabili e le fonti attendibili? Cosa si intende per “versione distorta di eventi reali o passati”? Infine, quale articolo è di parte: quello che contraddice l’altra parte e non piace quindi al “sistema uniformato e imperante” di quel tipo di informazione piegata ad un mondo che molti vorrebbero “unipolare”? E in un altro articolo leggiamo che la Commissione dell’Ue “ha dedicato uno studio ad hoc che ha portato alla definizione (ottobre 2022) degli Orientamenti per gli insegnanti e gli educatori volti a contrastare la disinformazione”, dove si dice ad esempio che la disinformazione – ma si parla anche di “malinformazione” e di cattiva informazione (valutata tale da chi?) – “può arrecare un pregiudizio pubblico oltre ad ostacolare la capacità dei cittadini di assumere decisioni in base ad informazioni corrette e veritiere e minare la libertà di espressione”.
A proposito di iniziative concernenti il tema della libertà di stampa e rivolte alle scuole, ricordiamo che nel quadro degli appuntamenti di educazione civica che meritoriamente La Tecnica della Scuola dedica agli istituti scolastici, il 3 maggio (dalle 10.30 alle 12.00) è in programma quello sulla “Giornata mondiale della libertà di stampa, tra informazione e fake news, il ruolo della scuola”.
Alla campagna internazionale “La mia voce per Assange” hanno aderito anche personalità del mondo della cultura, dell’informazione e dello spettacolo. Inaccettabile attacco alla libertà di informazione
Qualche mese fa è stata lanciata la campagna internazionale “La mia voce per Assange”, promossa da un comitato che ha accolto l’appello lanciato da Adolfo Pérez Esquivel, a cui anni fa è stato conferito il Premio Nobel per la pace, e alla quale hanno aderito anche personalità del mondo della cultura, dell’informazione (in Italia pure alcune testate giornalistiche) e dello spettacolo. E sono state organizzate diverse mobilitazioni (anche di comuni cittadini), tra cui quella davanti al Parlamento londinese.
Ancora prima si erano espressi a favore del cofondatore di WikiLeaks e contro un inaccettabile attacco alla libertà di informazione e al giornalismo d’inchiesta ‘Reporter senza frontiere’ (Reporter Without Borders, se vogliamo usare la dizione inglese) e la Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) chiedendo il “rilascio immediato in un annuncio a tutta pagina sul Times”.
Concludo questo articolo segnalando che mi è parso molto efficace il titolo di un pezzo pubblicato nello scorso mese di gennaio su www.giornalesentire.it: “Julian Assange, colpevole di verità”!