Il 10 ottobre dal 1992 si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale (World Health Mental Day), promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il tema di quest’anno è “It’s time to prioritize mental health in the wokplace”, ossia “è tempo di dare priorità alla salute mentale nei luoghi di lavoro”.
Proprio in questi giorni si è saputo che, come riporta Il Fatto Quotidiano, un gruppo bipartisan di 14 procuratori generali di diversi Stati americani ha fatto causa alla piattaforma Tik Tok accusandola di aver reso i giovani “dipendenti” dai suoi contenuti, danneggiando gravemente la loro salute mentale.
“La generazione Z è la prima a crescere completamente immersa nella tecnologia digitale, ma a quale prezzo?”, questo il loro ragionamento. Le accuse puntano il dito contro il meccanismo stesso dell’app, progettato per intrappolare gli utenti – soprattutto i più giovani – in un loop infinito di video a scorrimento, con notifiche continue e contenuti virali che spesso includono sfide pericolose. Un mix che, secondo gli esperti legali, porta i ragazzi a perdere il senso del tempo, compromettendo il sonno e alimentando disturbi psicologici.
“È come una sorta di nicotina digitale”, ha affermato Brian Schwalb, procuratore generale di Washington, spiegando come TikTok crei dipendenza nei giovani utenti. “Se TikTok avesse voluto rendere sicuro il suo prodotto, avrebbe potuto farlo”, ha aggiunto, sottolineando che la piattaforma avrebbe scelto deliberatamente di non intervenire per aumentare i propri profitti, a scapito della salute mentale degli utenti più vulnerabili.
Il meccanismo dello “swiping compulsivo”, uno degli elementi più criticati, è accusato di essere progettato apposta per spingere i ragazzi a trascorrere più tempo sull’app, influenzando la loro salute emotiva e psicologica. Bob Bonta, procuratore generale della California, ha rincarato la dose: “Hanno scelto la dipendenza: più uso, più danni mentali e fisici per i nostri giovani, il tutto per ottenere maggiori profitti. È davvero così semplice”.
Il 51,4% dei ragazzi soffre in modo ricorrente di stati di ansia o tristezza prolungati. Il 49,8% lamenta un eccesso di stanchezza. Il 46,5% dichiara di provare nervosismo. E ancora: il 29% ha frequenti mal di testa e il 25,4% dichiara di non dormire bene. Questo è quanto emerge da una consultazione pubblica tra circa 7.500 studenti italiani della scuola secondaria promossa dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza sulla piattaforma online iopartecipo.garanteinfanzia.org sui disturbi provati in maniera ricorrente dalla pandemia in poi. I sedicenni hanno rappresentato la metà di coloro che hanno risposto a un questionario a risposta multipla elaborato con il supporto di un comitato scientifico nominato dall’Agia.
“Ho deciso di rendere pubblico quanto emerso dalla consultazione proprio oggi, in occasione del World Health Mental Day, la Giornata mondiale della salute mentale, perché penso che sia utile in questa ricorrenza porre l’accento sulla condizione dei minorenni” dichiara l’Autorità garante Carla Garlatti. “Di solito in simili occasioni si parla di salute mentale con riferimento alle necessità e ai bisogni degli adulti. Io invece vorrei che si prestasse maggiore attenzione a come si sentono i ragazzi e a come è cambiata la loro vita dopo la pandemia, anche se il ricordo di essa può apparirci affievolito”.
Come dicono di sentirsi i ragazzi adesso? Il 35% si dice sereno, il 24% ansioso e il 16% non sa definire il proprio stato d’animo. L’8% si ritiene felice e il 6% solo. Il 40,3% pensa che oggi il proprio rendimento scolastico sia migliorato rispetto al periodo della pandemia. Una fase, quest’ultima, rispetto alla quale il 28% dei ragazzi riferisce di aver trovato insegnanti vicini e comprensivi e il 24,7% invece disinteressati agli studenti e attenti solo ai risultati. Il 30%, poi, afferma che, rispetto al periodo della pandemia, i rapporti con la famiglia sono migliorati.
Ancora, la maggior parte dei ragazzi che ha partecipato alla consultazione preferisce vedere gli amici dal vivo (55,9%), mentre le relazioni online sono preferite soltanto dal 6,9%. Queste risposte però vanno affiancate ad altre nelle quali i giovani dicono di aver avvertito nell’ultimo anno disagio nei confronti delle relazioni in presenza (26,4%).
Infine, ci sono delle abitudini emerse durante la pandemia e mantenute anche successivamente, che prima non c’erano. Si tratta, in particolare, dello studiare meno o in maniera discontinua (40,4%), del dormire poco o tardi (33,3%), del fare poca attività fisica (31,8%) e del mangiare troppo o troppo poco (31,7%).
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