In occasione della Giornata Mondiale dell’Infanzia, che si celebra il prossimo 20 novembre, Save The Children diffonde la XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia “Tempi digitali”, e chiede alle grandi piattaforme, alle istituzioni e alla politica di mettere al primo posto la sicurezza dei bambini e degli adolescenti, la garanzia per tutti di accesso alla rete, a partire dagli ambienti scolastici, e un investimento per promuovere le competenze digitali dei giovani.
In Italia il 78,3% di bambini tra gli 11 e i 13 anni utilizza internet tutti i giorni e lo fa soprattutto attraverso lo smartphone. Si abbassa sempre di più l’età in cui si possiede o utilizza uno smartphone, con un aumento significativo di bambini tra i 6 e i 10 anni che utilizzano il cellulare tutti i giorni dopo la pandemia: dal 18,4% al 30,2% tra il biennio 2018-19 e il 2021-22.
Nonostante questo utilizzo diffuso, nella mappa europea sulle competenze digitali dei 16-19enni, l’Italia si posiziona quart’ultima: la quota di giovanissimi con scarse o nessuna competenza è del 42%, contro una media europea del 31%. Se guardiamo ai giovanissimi che hanno acquisito elevate competenze digitali, gli italiani sono poco più di 1 su 4 (il 27%), a fronte del 50% dei coetanei francesi e del 47% degli spagnoli.
Il dato medio italiano nasconde ampi divari territoriali, con il Sud che ha oltre la metà dei ragazzi con scarse o nessuna competenza (52%) e il Nord e il Centro più vicini ai valori medi europei (34% e 39%).
L’Atlante è una fotografia dell’Italia in un tempo in cui la vita dei bambini è “datificata”, registrata e condivisa sul web, ed esplora le opportunità e i rischi che bambini, bambine e adolescenti stanno affrontando dentro la nuova rivoluzione dell’onlife e di una vita spesa tra reale e virtuale. E se da un lato emergono le conseguenze di una sovraesposizione al digitale, dall’altro ci sono anche quelle dell’essere esclusi dalla dimensione online, se non si ha accesso alla rete o si è privi di competenze. Nella pubblicazione di Save the Children, dati, mappe e interviste fotografano il bisogno di protezione per i più giovani mentre affrontano le “opportunità rischiose” della rivoluzione digitale in un’Italia che sconta ancora ritardi e carenze sulla strada per la transizione digitale, collocandosi al 18esimo posto tra i 27 stati membri dell’UE rispetto alla digitalizzazione dell’economia e della società. Per quanto riguarda la connettività, le famiglie con accesso alla banda ultra larga a fine 2022 erano il 52% (dato significativamente aumentato rispetto al 2016, quando erano appena l’8%), con la provincia di Milano in vetta alla classifica (86,6%) e Isernia in fondo (32,4%).
“Tra opportunità e rischi, questo Atlante dell’Infanzia vuole essere una fotografia delle luci e delle ombre che le nostre ragazze e i nostri ragazzi stanno affrontando nel percorso lungo le autostrade digitali. C’è chi è stato messo nelle condizioni di percorrerle in fretta e di evitare gli ostacoli, chi con quegli ostacoli si è scontrato e chi, invece, quelle autostrade le vede solo da lontano. La pandemia da Covid-19 ha segnato un punto di svolta nella transizione digitale: se da un lato la tecnologia ha acquisito una sempre maggiore importanza in ogni sfera di vita dei bambini con un aumento del tempo passato di fronte agli schermi di pc e tablet, dall’altra molti studenti risultano privi delle necessarie competenze per affrontare il mondo digitale. Occorre pertanto un’accurata analisi dei bisogni e delle lacune esistenti, unita a un intervento per contrastare la povertà educativa digitale, una dimensione della povertà educativa che priva i bambini e i ragazzi delle opportunità per apprendere, sperimentare, sviluppare liberamente capacità, talenti e aspirazioni, attraverso l’utilizzo responsabile, etico e creativo degli strumenti digitali. Inoltre, è fondamentale ridurre le diseguaglianze e agire affinché i ragazzi acquisiscano le competenze digitali necessarie: la tecnologia può e deve essere una grande opportunità di sviluppo e di democrazia, ma va resa universale e utilizzata secondo regole condivise, altrimenti rischia di acuire le diseguaglianze e creare un esercito di esclusi”, ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice generale di Save the Children.
Tra gli adolescenti cresce anche il tempo trascorso online: a inizio 2023 quasi la metà (il 47%) dei 3.400 11-19enni intervistati in occasione del Safer Internet Day ha dichiarato di passare oltre 5 ore al giorno online (era il 30% nel 2020) e il 37% controlla lo smartphone più di dieci volte al giorno.
La giornata dei ragazzi ruota, in gran parte, attorno all’universo digitale ed è anche attraverso la vita online che si modella la loro identità, amicizie comprese. Se per molti adolescenti stare in rete, scambiarsi contenuti e messaggi, può essere un elemento di apertura al mondo, di fuoriuscita dall’isolamento con la possibilità di scoprire interessi e condividerli, per altri può rappresentare una sfida che crea ansia: sui social gli adolescenti si rappresentano e la loro identità in formazione è sottoposta, istantaneamente, all’approvazione o al rifiuto di un pubblico potenzialmente smisurato.
Nonostante la legge preveda che un utente possa avere accesso ai social solo dopo aver compiuto 13 anni, la realtà mostra una presenza massiccia di preadolescenti che hanno aperto un profilo indicando un’età maggiore o hanno usato quello di un adulto, spesso un genitore più o meno consapevole: il 40,7% degli 11-13enni in Italia usa i social media, con una prevalenza femminile (47,1%) rispetto a quella maschile (34,5%).
Il tema non riguarda però solo i social e il problema della verifica dell’età è diventato centrale per chi si occupa di attività online: bambini e adolescenti utilizzano piattaforme, tecnologie, software, algoritmi che non sono stati progettati per loro, correndo numerosi rischi.
Inoltre, tra gli 11 e i 13 anni sono in aumento gli atti di cyberbullismo. Le ragazze sono più frequentemente vittime di atti di cyberbullismo, ma esiste anche una quota di “bulle” che colpiscono le compagne per isolarle e deriderle soprattutto negli anni della preadolescenza, quando i tempi di crescita non sono uguali per tutte.
Spesso la scuola si trova impreparata a intercettare questi fenomeni: nelle scuole secondarie di secondo grado che hanno partecipato al monitoraggio sulla piattaforma istituzionale ELISA, i docenti stimano che la percentuale di studenti e studentesse coinvolti nei fenomeni di bullismo e cyberbullismo sia poco meno del 6%, un dato lontano dalla percentuale di coinvolgimento nei fenomeni dichiarata dai ragazzi. Scarsa anche la conoscenza sugli strumenti di prevenzione di cui le scuole già dispongono: solo il 18% degli studenti e delle studentesse della secondaria di secondo grado che hanno partecipato al monitoraggio ha dichiarato di sapere chi sia il docente referente per il contrasto al bullismo e al cyberbullismo nella propria scuola e il 51% ha dichiarato di non aver mai sentito parlare di questa figura.
“La rete internet non è stata pensata per l’infanzia. Le sue regole, i suoi algoritmi, i suoi business non sono disegnati per accogliere i tanti bambini e adolescenti che oggi la popolano. È sotto gli occhi di tutti l’urgenza di ridisegnare gli ambienti digitali per farli diventare spazi sicuri. L’entrata in vigore il 21 novembre della delibera dell’Agcom con cui le sim intestate ai minori non avranno più accesso a contenuti inappropriati deve rappresentare solo il primo passo di un piano più ampio per un ambiente digitale a misura di bambini, bambine e adolescenti. Occorre sciogliere i nodi tecnici per verificare l’effettiva età di chi si iscrive ai social, rafforzare il contrasto alla produzione, diffusione e fruizione di immagini pedopornografiche, alla diffusione di immagini private senza consenso, del cyberbullismo, dei discorsi di odio e di tutto ciò che rende oggi violento e distruttivo l’impatto con la rete per i giovani naviganti. E’ fondamentale che anche l’Unione Europea, nel percorso di approvazione della Proposta di Regolamento sulla prevenzione e la lotta contro gli abusi sessuali sui minori mantenga come prioritario l’obbligo per le piattaforme di assumere un ruolo attivo nel contrasto alla pedopornografia. Questo richiede senza dubbio un forte investimento in termini di risorse e di tecnologie, ma non possiamo accettare che la sicurezza dei bambini in rete sia considerata meno importante rispetto a quella del commercio o del banking on line. Senza sottovalutare, infine, la necessità di responsabilizzazione degli adulti, a partire dai genitori. Per rafforzare la loro consapevolezza, ad esempio, le aziende produttrici dovrebbero inserire tra le avvertenze di utilizzo di tutti i dispositivi digitali informazioni chiare e scientificamente validate circa il rischio di danni che l’esposizione precoce e prolungata può procurare ai bambini nei primi anni di vita. Più in generale, tutta la comunità educante deve attivarsi per far sì che l’ambiente digitale possa davvero diventare per i ragazzi e le ragazze un prezioso spazio di protagonismo”, ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children.
Ragazze e ragazzi sfruttano la connessione per molteplici attività, a partire dalla messaggeria istantanea, utilizzata dal 93% dei 14-17enni. Tra le altre attività online preferite dagli adolescenti ci sono: guardare i video (84%, in crescita), frequentare i social media (79%) – con Facebook in drastico declino mentre avanzano Instagram, TikTok e Snapchat – e l’uso dei videogiochi (72,4%). Se le ragazze frequentano con più costanza e intensità i social media (84% contro il 74% dei maschi), il gaming impegna di più i ragazzi (81% contro il 64% delle ragazze) anche se le videogiocatrici sono in crescita. I videogiochi – che in Italia sono un mercato in continua espansione rappresentato per il 47% da giovani tra i 6 e i 24 anni – sono luoghi sociali dove bambini e adolescenti costruiscono anche la propria identità, luoghi valoriali dove i più giovani discutono e si confrontano su molteplici tematiche, ma che li espongono anche a pericoli, dal rischio di bullismo a quello di non comprendere le regole della privacy o le modalità di interazione con gli altri giocatori o di subire le scelte degli algoritmi. Ma i giovani utilizzano la connessione anche per informarsi: il 28,5% degli 11-17enni legge riviste e giornali online (percentuale che sale al 37% nella fascia 14-17 anni) e sfrutta i social media come canali di informazione, anche se non sempre dichiara di sapersi difendere dalle insidie delle fake news. Ed è proprio la disinformazione o la cattiva informazione il timore principale per il 49% di adolescenti e pre-adolescenti in Italia che hanno partecipato a un sondaggio di Microsoft sulla percezione della sicurezza online, più della violenza, del cyberbullismo e dei discorsi d’odio. Tra i pre-adolescenti (11-13 anni), secondo l’Istat (2022), sono soprattutto le ragazze a utilizzare la connessione per leggere notizie online (21,2% delle femmine contro il 13,7% dei maschi) o e-book (19,8% contro il 13,6%), confermando la tendenza che vuole le ragazze lettrici più assidue dei ragazzi, sia di libri di carta che su supporto digitale.
I social media sono anche utilizzati per diffondere conoscenze e informazioni e fare attivismo, sfruttando anche la facilità di collaborazione e di partecipazione che offrono le piattaforme digitali per creare un cambiamento significativo: tra i ragazzi e le ragazze che navigano in rete, il 14% degli 11-13enni e il 29% dei 14-17enni sono soliti esprimere opinioni su temi sociali o politici su web (ad es. blog, social network), con una differenza di genere nella fascia dei più grandi: il 27,5% dei maschi e il 30,6% delle femmine.
Nonostante le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – accolte anche in Italia dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) –di non utilizzare dispositivi digitali per i bambini di età inferiore ai 2 anni, secondo una recente indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia il 22,1% dei bambini di 2-5 mesi passa del tempo davanti allo schermo (tv, computer, tablet o smartphone), per la maggior parte per meno di un’ora al giorno. I livelli di esposizione crescono con l’aumentare dell’età: se si considera il tempo di fruizione complessivo, che va da meno di un’ora a oltre tre ore, la percentuale di bambine e bambini che ha un’esposizione agli schermi tra gli 11 e i 15 mesi d’età in media arriva al 58,1%, quasi 3 su 5. Oltre 1 bambino su 6 tra undici e quindici mesi è esposto a schermi almeno un’ora al giorno, il 3% per tre ore e più al giorno. Tra i rischi dell’esposizione troppo precoce e prolungata, oltre al possibile impatto negativo sullo sviluppo cognitivo, linguistico e emotivo del bambino, nel lungo periodo c’è quello di favorire comportamenti sedentari e obesità infantile. Non solo degli schermi, c’è anche un alto utilizzo degli assistenti vocali: il 46% delle famiglie con almeno una figlia o un figlio entro gli 8 anni d’età è in possesso di un assistente vocale, tra questi 1 bambino su 3 interagisce con questi apparecchi in autonomia, nonostante non siano stati progettati per loro. Se da una parte questi strumenti possono migliorare le capacità comunicative dei bambini (per esempio per l’apprendimento di una lingua straniera o per altre applicazioni didattiche), dall’altra possono avere effetti dannosi sullo sviluppo cognitivo e sociale dei più piccoli, che rischiano di interagire con queste macchine come se si trattasse di esseri umani, attribuendo loro caratteristiche mentali e sociali che evidentemente non hanno.
Pratiche più o meno inconsapevoli, come quello dello sharenting (la condivisione da parte dei genitori di dati, foto e informazioni del proprio figlio attraverso app e social media), possono esporre i bambini a gravi rischi: dallo sfruttamento sessuale alla violazione della privacy e all’accesso illegale a dati potenzialmente sfruttabili in modo improprio da criminali informatici, per esempio per il furto dell’identità digitale. Rischi che possono mettere a repentaglio anche la sicurezza fisica dei minori, oltre a provocare danni emotivi, dal momento che immagini e informazioni continueranno a circolare in rete anche quando il bambino crescerà, ma di cui i genitori sembrano non essere quasi mai consapevoli, tanto che il 73% dei bambini che vive in Europa è presente online prima dei due anni di età.
L’Atlante di Save the Children evidenzia che in Italia le ragazze e i ragazzi di 11, 13 e 15 anni che mostrano un uso problematico dei social media sono il 13,5%. Sono soprattutto le ragazze a soffrirne e l’età più critica è quella dei 13 anni: tra le principali motivazioni dell’uso intensivo dei social media c’è quello di scappare da sentimenti negativi. Per quanto riguarda, invece, i videogiochi, il 24% dei giovani di 11, 13 e 15 anni ne fanno un uso problematico: qui sono però i ragazzi ad essere più esposti e l’età, in questo caso, si abbassa a 11 anni.
I comportamenti a rischio di dipendenza tecnologica, da social media o da gioco online, sono correlati a un aumento dell’ansia sociale, della depressione e dell’impulsività, nonché a una peggiore qualità del sonno e a un rendimento scolastico scarso. Un uso intensivo di internet è associato anche a una maggior rischio di sovrappeso o obesità, a causa dell’inattività (navigare a lungo vuol dire stare molte ore seduti, per lo più fermi), e per le cattive abitudini alimentari legate all’iperconnessione. In Italia è in crescita il numero di ragazze e ragazzi obesi o in sovrappeso: sono soprattutto al Sud, con la Campania in testa (31,6%) e dove è maggiore anche la percentuale di 6-17enni che usano il cellulare tutti i giorni (fino all’83%) e si pratica meno sport.
La prevenzione è un primo importante passo e dovrebbe concentrarsi sui più giovani visto che i più alti tassi di dipendenza da internet si riscontrano durante l’infanzia e l’adolescenza e necessita di un approccio congiunto di scuola e famiglia.
Benché ancora non esista una definizione univoca di dipendenza da internet, in Italia ci sono 87 centri territoriali che offrono assistenza ai minorenni attraverso équipe multidisciplinari formate da psicologi, assistenti sociali, educatori. La maggior parte si concentra nelle regioni del Nord, con il primato della Lombardia (33 centri) e, a seguire, Marche (10), Liguria (9), Veneto, Toscana e Umbria (5), Lazio (4), Sicilia (3). Non in tutte le regioni però sono presenti strutture sanitarie che si occupano, tra gli altri servizi, di altre dipendenze come quelle tecnologiche: tra queste, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Basilicata, Molise, Calabria.
Delle 10mila persone, tra giovani e adulti, che finora hanno contattato questi servizi, la fascia d’età più rappresentata è quella dei 15-17enni (con il 13,7% dei maschi e il 9,2% delle ragazze) mentre quella tra 0 e 17 anni, nel suo complesso, costituisce quasi il 30% del totale. Per quanto riguarda le diagnosi, al primo posto c’è una generica dipendenza da internet, e, a seguire, internet gaming disorder, dipendenza dalle relazioni virtuali, da sesso virtuale, shopping online e sovraccarico cognitivo (o information overloading), ovvero la ricerca ossessiva di informazioni sul web. Spesso molte di queste dipendenze sono collegate anche con altri fenomeni: è emerso, per esempio, che ragazze e ragazzi che presentano un uso problematico di internet hanno anche una probabilità maggiore di soffrire di disturbi dell’alimentazione o mostrano un maggiore consumo di alcol e ansiolitici.
Nel processo di alfabetizzazione digitale, la scuola svolge un ruolo fondamentale nell’insegnare a utilizzare i linguaggi e gli strumenti in modo adeguato e sicuro. Dotare tutte le scuole di una connessione veloce e stabile e di strumenti digitali adeguati rappresenta il prerequisito essenziale per ridurre il digital divide e combattere la povertà educativa digitale, dando priorità agli istituti situati in aree particolarmente svantaggiate dove maggiore è l’incidenza della povertà materiale ed educativa. In questa direzione, una svolta importante per la transizione digitale del mondo della scuola è attesa con il PNRR, che prevede 2,1 miliardi di euro per finanziare il Piano Scuola 4.0 con interventi per il cablaggio, l’innovazione degli ambienti per l’apprendimento e degli strumenti digitali in tutte le scuole, oltre che 800 milioni su formazione digitale dei docenti.
Con il Piano “Scuole connesse” – avviato nel 2021 e che punta a connettere il 100% delle scuole del primo e secondo ciclo entro la fine del 2023 alla velocità di 1 gigabyte al secondo – sono 19.432 le scuole sul territorio nazionale che sono state “attivate” sulle 32.350 incluse nel Piano, ovvero il 60%. Secondo le stime, guardando alla percentuale di scuole con la banda ultra larga, la regione più avanzata è la Puglia, con solo il 14,4% di scuole ancora da connettere sul totale delle sedi scolastiche, seguita da Lombardia (21,3%) e Veneto (23,4%) insieme a Valle d’Aosta e Trentino (24%). All’opposto, la Sardegna ha ben due terzi (66,9%) di scuole non connesse con banda ultra larga, seguita dal Friuli Venezia Giulia con quasi la metà delle scuole ancora sconnesse (48,2%) e Umbria (47,1%).
Per quanto riguarda le scuole secondarie di primo grado, a Roma e a Palermo quasi un quarto degli istituti sono ancora in attesa di essere connessi, a Torino e a Milano tutte le scuole sono ormai connesse, con qualche eccezione, mentre Napoli ha circa un quinto di scuole ancora non attivate. Per quanto riguarda, invece, le scuole secondarie di secondo grado, Sicilia e Puglia presentano scuole connesse in moltissimi Comuni, l’Umbria ha molti comuni con scuole in via di attivazione, ma ancora aree con oltre la metà delle scuole superiori ancora sconnesse. Tra le grandi città, colpisce in positivo Torino, incluso il suo hinterland, il Comune di Milano e il Comune di Palermo, con sole due scuole ancora sconnesse. Nel Comune di Napoli sono solo sei le scuole non connesse, a Roma, invece, il processo sembra ancora incompleto in circa un decimo degli istituti.
Per realtà territoriali difficili da raggiungere o poco dotate di opportunità culturali e ricreative, il digitale rappresenta uno strumento di innovazione didattica, utile, per esempio per collegare le piccole scuole, ovvero plessi che accolgono pochissimi studenti (poco più di 11mila in Italia), che diventano così luogo di sperimentazione e un importante presidio comunitario.
Più in generale, il digitale è un potente strumento per innovare e sperimentare, oltre che per l’inclusione. Tra le applicazioni più sperimentate negli ultimi anni c’è il gaming applicato alla didattica: dalle Escape Room per imparare le declinazioni del greco antico all’utilizzo del videogame Minecraft, passando anche per il coding, ovvero la programmazione informatica, tutte attività che favoriscono la creatività, il problem solving e il lavoro di squadra.
Negli ultimi anni sono aumentate anche le tecnologie didattiche che favoriscono l’inclusione degli alunni con disabilità. In Italia il 76% delle scuole primarie e secondarie dispone di postazioni informatiche adattate alle esigenze degli alunni con disabilità, tra i territori più virtuosi: la Provincia autonoma di Trento (88%), Umbria (84%), EmiliaRomagna (83%); la Sardegna, invece, presenta la percentuale più bassa (66%).
In questo grande processo di transizione digitale della scuola gioca un ruolo fondamentale la formazione degli insegnanti per facilitare l’integrazione dei linguaggi del digitale con quelli più tradizionali, in un quadro di innovazione dove anche gli stessi insegnanti si interrogano su come l’intelligenza artificiale trasformerà il loro lavoro. Su questo però l’Italia sconta un corpo docenti abbastanza anziano: oltre tre docenti delle scuole secondarie su quattro hanno più di 50 anni e hanno iniziato la loro carriera quando la rivoluzione tecnologica non era ancora all’orizzonte.
L’Organizzazione ricorda che il primo Piano Nazionale Scuola Digitale risale al 2015 e che, a distanza di anni è fondamentale verificare l’impatto dei provvedimenti messi in campo e fare in modo che gli ingenti investimenti del PNRR arrivino nei territori dove c’è maggiore necessità anche per contrastare i fallimenti formativi. Esperienze come il progetto “Connessioni Digitali” promosso da Save the Children in cento scuole italiane dimostrano il valore dell’apprendimento di competenze digitali nei percorsi di educazione civica, per rafforzare non solo le abilità strettamente tecniche, ma l’esercizio del pensiero critico e la capacità di essere in rete attori creativi e consapevoli.
Delle tematiche affrontate nell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) – Tempi Digitali si discuterà nel corso di un evento il 17 novembre alle ore 10 presso la sede dell’Organizzazione a Roma, in Piazza S. Francesco di Paola 9. Interverranno Claudio Tesauro, Presidente Save the Children Italia; Raffaela Milano, Direttrice Programmi e Advocacy Italia Europa; Vichi De Marchi, Curatrice dell’Atlante dell’infanzia (a rischio); Padre Paolo Benanti, Professore Straordinario di Teologia ed Etica, Pontificia Università Gregoriana; Nunzia Ciardi Vice Direttrice Agenzia per la Cybersicurezza nazionale; Riccardo Luna, editorialista de La Stampa e La Repubblica; Eleonora Faina Direttrice Generale di Anitec-Assinform; Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la Protezione dei dati personali; Carmine De Paola, rappresentante Youth Panel Generazioni Connesse; Alfonso D’Ambrosio, dirigente scolastico, IC Lozzo Atestino; Rosalba Tomassi, dirigente scolastico IC Falcone Borsellino. Modera: Antonella Inverno, Responsabile ricerca, dati e politiche di Save the Children (per registrarsi all’evento: https://forms.office.com/e/dGALzTcpfa).
La versione integrale dell’Atlante 2023 è disponibile al link: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/14-atlante-dell-infanzia-a-rischio-tempi-digitali
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