Oggi, 28 aprile, si celebra la Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, istituita nel 2003 dall’Organizzazione internazionale del lavoro. In questa occasione l’Osservatorio sui Pcto del portale scolastico Skuola.net ha condotto un’indagine sulla sicurezza degli studenti inseriti nei percorsi di Alternanza Scuola Lavoro. Lo riporta l’Ansa.
La sicurezza delle ragazze e dei ragazzi sui luoghi di lavoro è sicuramente il problema principale e più urgente da affrontare quando si parla di Pcto, i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, l’ex Alternanza Scuola-Lavoro. Ma anche assicurare l’effettivo incontro tra studenti e aziende, per dare loro un vero assaggio di quello che significa “lavorare”, non è una questione da sottovalutare. Questo è ciò che è emerso dallo studio, che ha coinvolto 2.500 alunni dell’ultimo triennio delle scuole superiori.
Negli anni più recenti, infatti, complice la pandemia con i suoi strascichi, la stragrande maggioranza degli alunni interessati dall’Alternanza formativa si è dovuta accontentare di esperienze “simulate”: il 61% degli intervistati dice essere stato costretto a ricorrere ad attività (teoriche o pratiche) senza il coinvolgimento diretto di imprese e uffici. Privando i PCTO del loro senso più profondo, almeno per come erano stati concepiti. Alla fine, dunque, solamente 2 studenti su 5 dicono di essere stati a contatto con realtà lavorative: il 24% per tutte le ore sin qui svolte, il 15% alternandosi tra vita lavorativa reale e simulata. Ma anche in questi casi non è che ci sia stata sempre la possibilità di toccare con mano le dinamiche del mondo del lavoro, visto che solo 6 su 10 sono stati presenti in azienda per tutto il tempo. Al 29% è stato invece proposto un mix di presenza fisica e collaborazione “a distanza”, l’11% ha svolto solo “smart working”.
Addentrandosi di più nello sviluppo dei vari Pcto, si continua a dover registrare che spesso i ragazzi non vengono accolti nel migliore dei modi nei posti di lavoro. O almeno è quello che lamentano i diretti interessati. Meno della metà (45%) degli studenti dicono di essere stati assegnati a un tutor che li ha seguiti per l’intero svolgimento dello stage e oltre un quarto (26%) racconta che questa fantomatica figura non è gli stata nemmeno presentata ufficialmente. Solamente un terzo scarso (32%), poi, ha potuto lavorare con i team interni sui compiti principali. In tutti gli altri casi si è rimasti spettatori o quasi: al 26% è stato solo spiegato in modo sia teorico che pratico il tipo di lavoro fatto in quella realtà, per il 14% ci si è fermati alla “teoria”, circa 1 su 5 si è limitato a eseguire compiti di contorno, 1 su 10 ha avuto l’impressione di aver perso tempo senza fare nulla.
Anche gli aspetti relativi alla sicurezza, come è purtroppo noto, qualche volta sono un po’ trascurati. Un quinto degli studenti (19%) si è presentato sul luogo di lavoro senza aver svolto il corso apposito – erogato online dal Ministero dell’Istruzione e del Merito – e senza indicazioni, da parte delle realtà di approdo, sulle procedure da osservare. Solamente 1 su 3 ha potuto beneficiare di entrambi i percorsi formativi (corso online e approfondimento in loco), quasi la metà (47%) solo del corso ministeriale. E, tra chi si è trovato a svolgere mansioni “manuali”, con l’utilizzo di macchinari o strumentazioni, il 17% ha temuto in almeno un’occasione per la propria incolumità e il 4% per buona parte della sua presenza in azienda. Infine, dovendo fare un bilancio complessivo dell’esperienza, la maggioranza (57%) la giudica più inutile che utile dal punto di vista formativo, appena il 16% la promuove a pieni voti.
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