Oggi che la forza continua a prevalere sul ragionamento, la rabbia sulla tenerezza e il pugno sulla carezza, avrei scritto le stesse parole che scrissi per un quotidiano quando lo stesso episodio si verificò a Torino. E la tristezza, nel vedere quei ragazzi che possono essere miei alunni, mie figlie o miei nipoti, è sempre la stessa.
Nel guardare ragazzi vestiti di blu che bastonano ragazzi un po’ più giovani di loro ha provocato in me, da insegnante ancor prima che da cittadino, una tristezza infinita. Mi sono sentito avvilito e sconfitto.
E’ così che si sente un insegnante quando la forza prevale sul ragionamento, la rabbia sulla tenerezza, il pugno sulla carezza. E mentre guardavo non ho potuto fare a meno di pensare che quei ragazzi, il cui viso era nascosto da un casco celeste come il cielo, bastonavano se stessi.
Bastonavano quello che sono stati qualche anno prima, quando frequentavano la scuola e protestavano, come questi studenti, per il diritto allo studio, alla conoscenza e al dissenso. Ero triste perché quella brama di cambiare il mondo veniva bastonata, bastonata la vitalità e la divergenza, bastonato il diritto e il dovere di criticare il mondo, di sognarlo migliore.
E poi, pensando che quei ragazzi potevano essere miei ex alunni, senza rendermene conto ho urlato: “Smettetela ragazzi, smettetela! Non è questo il modo per rendere più umano il mondo. Non è questo il mondo che vi meritate. Non è questo il mondo che dovete lasciare ai vostri figli”.
Augusto Secchi