«Certo che sei più fragile, se stai tutto il giorno solo davanti al cellulare. Come si frequentano i ragazzi? Con un emoticon?». È un fiume in piena Paolo Crepet, insigne psichiatra, sociologo e saggista, delle cui ultime dichiarazioni la nostra testata ha dato conto anche pochi giorni fa, quando lo psichiatra ha parlato Radio Cusano Campus.
«Troppi psicologi si occupano di scuola, e rischiano di far peggio: alla prima stanchezza oggi i ragazzi vanno dallo psicologo perché stressati, ma il problema sono i genitori, più adolescenziali di loro. È il marketing della depressione». Agli intervistatori, che difendono il punto di vista degli adolescenti, Crepet risponde, netto: «Anch’io a volte andavo male a scuola e mi sentivo vittima, ma per fortuna a quell’epoca non c’era la quantità di psicologi che c’è ora. Spesso si tratta solo di ragazzi che non hanno voglia di studiare».
Sulla DaD le sue parole più dure: «La più grande schifezza che potevamo fare. Bisognava chiuder tutto, ma tenere aperte le scuole, almeno in parte. Si è detto che andava benissimo far tutto da casa. È stato un danno: nulla è peggio che isolare i bambini. Lo si è fatto cocciutamente, due ministri di seguito. Nessuno ha pensato ai danni».
Danni che oggi moltissimi specialisti denunciano. I nostri lettori ricordano quanto accaduto fin dal 9 marzo 2020, allo scoppio dell’emergenza pandemica (poi durata tre anni)? Tutte le scuole d’Italia furono chiuse per mesi, con grave danno di tutti gli studenti italiani di ogni ordine e grado, costretti a sostituire la Scuola con surrogati telematici (computer o cellulari). All’epoca, tra i pochi articoli giornalistici critici verso tutto ciò, ci furono i nostri, su questa testata: il primo dei quali già il 14 marzo 2020.
«Tutti constatiamo», scrivemmo allora, «quanto frenetico sia il rapporto dei nostri ragazzi con cellulari, tablet e computer, e quanto la loro attenzione sia continuamente disturbata da notifiche di messaggi, Whatsapp, Facebook, Instagram, Twitter, dalla tentazione del giochino elettronico, del video musicale, o peggio; e quanto tutto ciò si traduca (persino negli adulti) in disattenzione cronica, cronicizzata superficialità ed incapacità di approfondire, di formulare domande, di concepire curiosità non dettate da impulsi emotivi e compulsivi. Non lo diciamo noi: lo confermano studi scientifici di noti psichiatri, neurologi e psicologi. Non parliamo poi delle verifiche “online”. Nessun docente serio le prenderebbe minimamente in considerazione, vista la facilità con cui qualunque alunno potrebbe giovarsi di aiuti esterni per rispondere a eventuali malaugurate interrogazioni via web o — peggio — prove scritte da inviare al docente da casa. Verifiche di tal fatta non avrebbero alcun valore legale, esponendo i docenti (e i Dirigenti che le avallassero) a contestazioni legali anche gravi».
Fummo tra i pochissimi dare l’allarme, e lo facemmo con molti altri articoli a seguire. Ma all’epoca il panico, pompato dai media mainstream, aveva preso il sopravvento sulla ragione. La telematica parve lo scudo che avrebbe difeso gli italiani dalla “scuola-incubatrice di virus“ sterminatori; mentre intanto (misteriosamente) le fabbriche restavano aperte e nessun ministro pensava minimamente (ad esempio) ad aumentare i mezzi pubblici per permettere il distanziamento fisico, o a costituire classi con meno alunni per gli anni a venire. Parve più opportuno seminare il panico, iniettare in tutti la paura, rintanarli in casa, come si era fatto solo (rarissimamente) in Paesi infestati da ebola e peste.
La maggior parte dei docenti non capì i rischi cui stava esponendo il proprio lavoro, e si gettò entusiasta nella DaD. Dopodiché, i sindacati maggiori servirono al Governo il supporto contrattuale alla DaD stessa, onde evitare problemi legali ai dirigenti. Con sommo gaudio, ovviamente, delle multinazionali telematiche.
Fu allora che la tecnologia telematica egemonizzò decisamente la Scuola. Se oggi si arriva a pensare di sostituire la Scuola col “metaverso” (virtualità al posto della realtà e della conoscenza razionale, analitica e critica), lo dobbiamo alla breccia che quel panico aprì nella mente e nella coscienza collettiva. Attraverso quella breccia sono poi dilagate, come un’alluvione lampo, tutte le distorsioni pseudopedagogiche che — incombenti già da prima — oggi impediscono di guardare con serenità ai nostri giovanissimi. Su tutto ciò, ne siamo convinti, occorre una riflessione profonda, ed una presa di coscienza, da parte di tutti gli adulti, sulle proprie responsabilità circa il disagio attuale.
Disagio dovuto, secondo Crepet, non ai docenti, ma ai genitori di oggi, iperprotettivi, privi di equilibrio, pronti a difendere i propri figli a spada tratta se non vengono tutti promossi a pieni voti. «Vi rendete conto che ci sono ragazze di 26 anni che vanno al colloquio di lavoro coi genitori? Ho osato dire pubblicamente che era un’assurdità, e sono stato bombardato dalla e-mail delle mamme inferocite! Il genitore medio italico vuol controllare tutto: lo fa attraverso il registro elettronico, fino a geolocalizzare i figli. Poi però non sa dove sia la propria figlia di 14 anni alle quattro di notte!»
Ebbene, potrebbe mai essere il metaverso a salvarci da tutte queste storture?
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