Categorie: Personale

Giro di vite sui docenti: ridotti comandi e permessi di assistenza invalidi

Il “giro di vite” deciso dal Governo sull’Istruzione tocca sempre più da vicino gli insegnanti, in particolare quelli che per vari motivi si trovano lontani dalla cattedra: tra coloro che ne faranno le spese figurano, in particolare, sia i docenti comandati presso le associazioni sia quelli che devono assistere parenti o affini usufruendo della nota Legge 104.
In base a quanto denuncia il capogruppo Pd in Commissione Cultura alla Camera, Manuela Ghizzoni, la necessità di fare economie avrebbe infatti indotto il Miur a ridurre il numero di insegnanti comandati che svolgono il loro servizio presso le associazioni professionali. Una decisione che secondo la deputata “impoverisce la capacità di iniziativa delle più importanti associazioni professionali degli insegnanti, caratterizzate storicamente dal pluralismo, presenti anche in territori poveri di risorse culturali, impegnate al recupero della dignità professionale”.
I docenti cui è stato negato il comando presso le associazioni sarebbero sette: quattro insegnanti che da diversi anni venivano prestati presso il “Centro di iniziativa democratica degli insegnanti”, due all’“Unione cattolica italiana insegnanti medi” e un insegnante all’“Associazione italiana maestri cattolici”. Il loro impegno principale è stato nel corso degli ultimi anni quello di organizzare convegni, seminari, aggiornamento di dirigenti e docenti e consulenza degli insegnanti.
Ghizzoni giudica il provvedimento negativamente anche perché sarebbe stato preso “senza preavviso e motivazione, in modo estemporaneo e del tutto arbitrario”. Una circostanza che ha indotto lo stesso deputato, assieme ad alcuni colleghi dell’opposizione, a presentare una interrogazione parlamentare nella quale vengono richiesti al Ministro Mariastella Gelmini “i motivi che hanno ispirato questa scelta e i criteri seguiti per le assegnazioni del personale dirigente e docente e le verifiche effettuate per stabilire il possesso dei requisiti di legittimazione degli enti destinatari di queste assegnazioni”. All’on. Ghizzoni non sarebbe andato giù nemmeno il fatto che la comunicazione del “taglio” dei docenti comandati è giunta dal Miur agli interessati solo attraverso un “freddo” fax. A cose fatte. “La scelta del ministro è particolarmente grave – conclude l’esponente del Pd – perché le associazioni che si vedono ridurre in modo unilaterale gli insegnanti loro assegnati svolgono attività sociali, spesso supplendo allo Stato nella funzione di formazione e di ricerca per l’innovazione della didattica”.
Da viale Trastevere per il momento non giungono repliche: le spiegazioni arriveranno direttamente nelle sedi opportune, ad iniziare dalla risposta all’interrogazione che darà a Montecitorio il Ministro Gelmini. Facile, comunque, prevederne il contenuto: lo Stato non può più tollerare alcuna agevolazione perché la situazione economica è disastrosa.
Per rendersene conto basta andare a vedere l’articolo 71 del decreto legge 112, convertito in legge martedì 5 agosto, attraverso il quale si tramutano in ore i tre giorni mensili di permesso che utilizzano gli insegnanti per assistere con esclusività parenti o conviventi colpiti da gravi malattie o invalidità (come previsto dall’articolo 33 della legge 104/92). “Nel caso di fruizione dell’intera giornata lavorativa – si legge nel comma 4 dell’art. 71 del dl 112 -, l’incidenza dell’assenza sul monte ore a disposizione del dipendente, per ciascuna tipologia, viene computata con riferimento all’orario di lavoro che il medesimo avrebbe dovuto osservare nella giornata di assenza”.
La legge va, in pratica, a rendere effettiva una comunicazione dell’Inps di circa un anno fa (del 28 giugno 2007) con la quale si dà indicazione di tramutare i giorni di assistenza in ore attraverso un semplice calcolo: dividere l’orario di lavoro settimanale per il numero dei giornate lavorative effettivamente prestate settimanalmente e moltiplicare il risultato per tre. La realizzazione del calcolo è meno complicata di quanto si pensi: se ad esempio un assistente amministrativo, tecnico o ausiliario è chiamato a svolgere 36 ore settimanali basta dividere queste per i sei giorni prestati settimanalmente ed infine moltiplicare il risultato per tre: un lavoratore Ata che rientra in questa casistica avrebbe quindi diritto a 18 ore mensili di assistenza. Ed in questo caso non cambierebbe nulla rispetto ad oggi.
Cambierebbe invece la situazione per i docenti, i più “colpiti” dalla novità: le ore di permesso mensili si ridurrebbero infatti a 12,5 per i docenti della scuola dell’infanzia (impegnati per 30 ore settimanali), ad 11 per quelli della scuola primaria (24 ore settimanali) e appena a 9 per i prof della secondaria (che svolgono come noto 18 ore a settimana). Un po’ meglio, ma solo un paio di ore in più, andrebbe per chi usufruisce del giorno libero.
Da un punto di vista prettamente matematico l’applicazione dei nuovi calcoli non farebbe una piega: lavorando 18 ore la settimana il dipendente ha diritto alla metà delle ore di permesso. Ciò significa che un docente di un liceo che si assenta nei giorni della settimana più “ricchi” di ore frontali alla fine del mese si ritroverà non più tre giorni di permesso, ma solo due.
Tuttavia il lavoro dell’insegnante non si esaurisce dietro la cattedra, ma comporta impegni di programmazione, preparazione delle lezioni, ricevimenti, collegi, consigli, aggiornamenti e quant’altro: almeno 80 ore l’anno passate distanti dagli allievi, ma che per forza di cose vanno computate. Tante ore in più che vanno inserite nel calcolo e che non sfuggiranno di certo ai sindacati quando verranno convocati all’Aran per avviare la contrattazione del nuovo contratto nazionale di lavoro.  
Alessandro Giuliani

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