“Ancora una volta, come già avvenuto negli anni scorsi, le amministrazioni locali (Comuni, Province e Regioni) dicono no alla bozza di decreto sugli organici ATA, in linea con quanto da tempo andiamo denunciando: l’attuale dotazione organica è insufficiente al fabbisogno, e la situazione è aggravata da norme di legge che hanno ricadute pesantemente negative sull’organizzazione del servizio, prima fra tutte quella sul divieto di sostituire il personale assente”. Così in una nota la segreteria generale della Cisl Scuola, Lena Gissi.
“Ne deriva un continuo e crescente aggravio delle condizioni di lavoro del personale, dai collaboratori scolastici, costretti a far fronte, a ranghi ridotti, a compiti delicati come la sorveglianza e in particolare l’assistenza agli alunni disabili, a quanti devono farsi carico della quantità e complessità del lavoro che ricade sugli uffici di segreteria” – continua l’esponente Cisl.
“Tante volte lo abbiamo messo in evidenza, a partire dalla manifestazione davanti al MIUR dello scorso autunno, e ora nella nuova fase di mobilitazione avviata con la raccolta di firme sulle diverse criticità che la scuola sta vivendo e già rivolta ad altre più incisive azioni in mancanza di risposte concrete”.
“Non siamo solo noi, peraltro, a denunciare questo stato di cose , e il parere dei rappresentanti delle istituzioni locali lo conferma; ma è lo stesso Parlamento a dire che vi sono situazioni insostenibili, citando fra l’altro la necessità di garantire il turn over del personale che cessa e segnalando i disagi dal divieto di sostituzione. Non è più possibile limitarsi a soluzioni tampone, come quelle che finora, pressato dalle nostre richieste, il governo ha potuto fare, per esempio restituendo in organico di fatto i posti decurtati in diritto. Se i problemi nascono da norme di legge che impongono situazioni e comportamenti insostenibili, c’è un solo rimedio: cambiarle. Vale in generale, vale nello specifico per gli organici e la gestione del personale ATA. Il Governo – conclude Gissi – può senz’altro attivarsi con strumenti e procedure opportune per ottenere modifiche legislative che sono le stesse commissioni parlamentari a chiedergli. Sempre che voglia comportarsi da governo del fare, come ama definirsi, e non da governo degli annunci.
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