Attualità

Giudicati, svalutati, sottopagati: uno studio sociologico sulla condizione dei docenti

È uscito un libro molto importante per comprendere la situazione degli insegnanti italiani negli anni che stiamo vivendo. Lo ha scritto un sociologo, Gianluca Argentin, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, nonché Professore di Politiche per il capitale umano e metodologie per la valutazione delle politiche all’Università Cattolica di Milano. Il saggio, dal titolo “Gli insegnanti nella scuola italiana. Ricerche e prospettive di intervento” si pone il problema dei troppi fardelli addossati oggi agli insegnanti, che sono sempre più svalutati (e non da oggi).

Intervento radiofonico dell’Autore

Intervenuto nella trasmissione di Rai Radio 3 Fahrenheit il 12 febbraio scorso, l’Autore ha messo in risalto l’ostacolo costituito per i docenti dalla moda del momento: il disconoscimento del sapere. Soprattutto da quando chiunque si lascia andare sui social media a giudizi di valore su qualsiasi argomento (specie su quelli che ignora). «Ciò che viene espresso», sostiene Argentin, «non è un dubbio sul sapere, ma un esplicito disconoscimento di esso, un rifiuto, un’opposizione decisa. Gli Italiani si rapportano ai docenti come rispetto agli allenatori di calcio: tutti abbiamo qualche volta giocato a calcio — magari in una partitella tra amici — e di conseguenza tutti crediamo di avere un’idea valida di come si dovrebbe giocare a calcio. Così, tutti siamo stati a scuola, e di conseguenza tutti abbiamo un’idea di come si dovrebbe insegnare.

Docenti esposti allo straparlare di tutti

«Idea niente affatto realistica, però. È facile dar giudizi: ed ecco che un milione di docenti è continuamente esposto ai giudizi di otto milioni di studenti, di sedici milioni di genitori, e di un numero incalcolabile di nonni e zii. Il docente è sotto gli occhi di tutti, costantemente: peggio che giocare in serie A.

Inoltre nel giudizio di valore sui docenti entra la questione della motivazione della scelta individuale d’insegnare, vista da molti come ripiego o scelta di comodo, soprattutto per le donne. Infatti spesso son le donne che scelgono deliberatamente di insegnare, mentre per i maschi è più frequentemente un processo casuale a portarli dietro una cattedra. Tuttavia è innegabile gli insegnanti ogni giorno scelgono come interpretare il loro ruolo. Questo conta, e dà dignità alla loro professione: la scelta di come svolgere il proprio lavoro ogni giorno, apportando alla propria posizione professionale una quantità incredibile di adattamenti. Un docente sceglie in quale sede lavorare; contratta le classi in cui insegnare; sceglie il grado scolastico; sceglie cosa fare per il programma e quanto; se esser conflittuale con i genitori; se pressare gli studenti o assecondarli. Un milione di docenti, un milione di modi diversi d’interpretare la professione».

«La regionalizzazione? Come tagliarsi la testa per non farsi la barba»

Interessanti le parole del sociologo sulla ventilata regionalizzazione della Scuola (contro la quale due sindacati di base, Unicobas Scuola & Università ed Anief, hanno indetto uno sciopero della Scuola con manifestazione davanti Montecitorio per il 27 febbraio): «L’uscita di “bozze segrete” la dice lunga sull’assenza di un dibattito pubblico adeguato prima di intraprendere un’iniziativa di policy rilevante come l’idea di regionalizzare l’istruzione. Il problema è che non è chiara la finalità di questo progetto. Lasciamo perdere finalità propagandistiche o elettorali (che speriamo non guidino una decisione così importante del MIUR). Se l’dea è quella — ventilata da alcuni — di avere insegnanti lombardi per studenti lombardi e veneti per i veneti, è un’idiozia conclamata: basti guardare la nazionalità di provenienza degli studenti lombardi, per capire che il concetto stesso di “studenti lombardi” è una stupidata! Se invece stiamo parlando di voler ridurre la mobilità di lungo raggio dei docenti; oppure attrarre i laureati migliori nelle scuole delle ricche regioni del Nord, prevedendo per i nuovi assunti in queste regioni un vantaggio salariale; oppure avendo in mente che la Scuola in questo modo risponda meglio alle esigenze del territorio; ciò significa che stiamo adottando misure di portata eccezionalmente drastica e smisurata rispetto a tutte e tre queste finalità: come se io domani, per non farmi la barba che è una scocciatura, decidessi di tagliarmi la testa! Rispetto alla mobilità dei docenti si possono prender misure molto più facili. E comunque non smetteremmo di avere (grazie a Dio!) molti insegnanti che dal Sud vengono nelle scuole del Nord, dove questa forza lavoro è necessaria.

Il problema non è il salario iniziale, ma la sua scarsezza complessiva

«Se ci illudiamo di attrarre i laureati con un salario poco più alto nella fase iniziale, prendiamo un abbaglio», conclude Argentin. «Il problema del salario dei docenti italiani non è nella fase iniziale della carriera, ma nella prospettiva di lungo periodo. L’ho argomentato anche nel libro: lo stipendio rimane sostanzialmente quello per tutta la carriera del docente, ed è ciò che rende questa professione poco attrattiva. Rispetto a tutti questi problemi, la regionalizzazione è assolutamente fuori luogo».

Alvaro Belardinelli

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