Ha avviato un interessante dibattito on line l’articolo della Tecnica della Scuola sul maestro di italiano e inglese dell’istituto comprensivo “Rita Borsellino” di Palermo, Gabriele Camelo, che ha deciso di utilizzare una forma di valutazione “motivazionale” basata sulla forza di costruire e sulla capacità di rassicurare.
Il nostro vicedirettore Reginaldo Palermo, che è stato maestro diversi anni prima di diventare dirigente scolastico, ha spiegato che si tratta di una pratica didattica certamente molto avanzata rispetto a chi pensa che la valutazione debba servire solo a “selezionare” o al massimo a “registrare” gli esiti degli apprendimenti con un laconico: “bene”, “non ci siamo”, “sei troppo disordinato” o “c’è ancora qualche errore”. Cogliendo però anche qualche limite, come “l’approccio un po’ troppo ‘personalizzato’” e “un po’ ‘pericoloso’, perché potrebbe generare dipendenza e spostare l’attenzione dal compito alla relazione.
Tornando al maestro in servizio a Palermo, ex autore televisivo che da diversi anni si è trasferito da Roma a Palermo, la forza del suo metodo è comunque innegabile: si basa sulla convinzione di proporre agli alunni frasi dense di emozioni, in grado di stabilire un contatto “vero”.
Ecco qualche suo esempio di giudizio ‘aperto’: “Il tuo quaderno è bellissimo”, “Sono fiero di te”, “Ti voglio Bene”.
La sua è una tecnica dagli esiti positivi anche quando l’alunno non raggiunge l’obiettivo richiesto. Sui compiti dei suoi alunni scrive, ad esempio: “Molti compiti non sono stati svolti e le schede non incollate. Quando fai i compiti sei brava e ti stimo. Posso aiutarti ad impegnarti di più?”. Con tanto di cuore a seguire.
“Creo con i bambini un legame emotivo a partire dalla motivazione, dall’affetto e dal desiderio di una crescita comune“, ha sottolineato il maestro in un’intervista alla carta stampata.
Quindi, ha ricordato che “i bimbi crescono e progrediscono didatticamente solo a partire da un abbraccio, da un legame affettivo”.
E ancora: “Ogni maestro instaura un legame intimo con i propri alunni e io creo con i bambini un legame a partire dalla motivazione, dall’affetto, dal desiderio di una crescita comune. Mi prendo cura di loro in toto, anche con la supervisione dei loro quaderni. Un bambino non progredisce didatticamente se non c’è un legame, una carezza, un abbraccio, se non ha la serenità di fondo”, ha concluso il docente.
Indubbiamente, la volontà di creare un rapporto, un’empatia, con gli alunni è la chiave per entrare nella loro testa e prima ancora nel loro cuore.
È esattamente, però, quello che nel corso degli ultimi anni tanti docenti praticano con meno frequenza: entrando in classe senza slancio, a volte per stanchezza, evidentemente non trasmettono adeguate emozioni agli studenti che hanno davanti per una o più ore a settimana.
Ma c’è anche un altro aspetto del maestro in servizio nel capoluogo siciliano che dovrebbe fare riflettere: parliamo della serenità che cerca sempre di fare regnare in classe con gli alunni. Anche su questo punto le pratiche che adottano molti insegnanti sono assai diverse: il ruolo che preferiscono instaurare, soprattutto quando davanti hanno una classe difficile o turbolenta, è quello del docente autoritario che sottolinea il suo ruolo al di sopra degli allievi, palesando atteggiamenti da uomo “vissuto“.
Quando sale in cattedra questo docente, il clima non è affatto sereno: se poi gli alunni non si comportano bene, vengono sistematicamente redarguiti e sanzionati. Fino ad umiliarli, soprattutto quando la sanzione colpisce alunni particolarmente sensibili.
La differenza tra i due “metodi” è abissale: da una parte abbiamo il maestro in servizio a Palermo che cerca di trasmettere emozioni e senso di empatia, senza mai mettere in difficoltà il bambino; dall’altra il docente che di fronte all’allievo che non esegue quanto richiesto lo giudica con un basso voto numerico e non si cura del suo stato emozionale.
Una pratica valutativa, quest’ultima, che ha una sua efficacia soprattutto con gli alunni più diligenti; quando un bambino o ragazzo convive con problemi familiari, personali e di apprendimento, la linea dura, che non si cura del lato umano e dell’opportunità di creare un dialogo reciproco, rischia di portare al rigetto per la scuola. E all’abbandono dei banchi, che in certi territori, soprattutto nel passaggio tra le scuole medie e superiori, risulta numericamente ancora davvero troppo alto.
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