In questi giorni si parla moltissimo del maestro che usa i giudizi motivazionali al posto dei voti, che scrive nei quaderni dei bambini, che è solito portarsi a casa. Il docente è stato lodato da moltissime persone per la sua originalità e cura ma anche criticato per alcuni aspetti. C’è anche chi ha detto che non si tratta proprio di qualcosa di nuovo.
L’esperta di social, docente e social media manager Serena Mazzini, co-autrice del podcast “Il Sottosopra” con Selvaggia Lucarelli, ha mosso una critica al docente riguardo un’altra questione. Il maestro, a quanto pare, risulta essere abituato a mostrare i bambini, ovviamente con il consenso dei genitori, sui social.
La Mazzini, che si occupa di sharenting, ha illustrato i pericoli di tutto ciò: “Non capisco quale scopo educativo dovrebbe avere questo nuovo trend dei maestri che riprendono costantemente i bambini in classe mentre vengono coccolati o mostrati in momenti di debolezza se non stuzzicare l’ego di chi condivide questi video. Certi maestri dovrebbero essere i primi ad essere educati ai pericoli della rete. Un bambino con il telefono puntato imparerà che certi atteggiamenti portano attenzioni e ricompense”, ha scritto.
Il maestro ha replicato: “La mia stella polare è l’uso positivo dei social. Quello che faccio è frutto di un percorso, di formazione, studi”.
Il dibattito rimane aperto: giusto mostrare i bambini sui social, cosa che fanno molti giovani docenti “creator” seppur con scopi educativi ben precisi? O meglio evitare di esporli molteplici rischi?
L’argomento è stato affrontato dalla nostra redazione con due reel che hanno riscosso grande interesse e che hanno scatenato un forte dibattito. Dopo il successo del primo video che, ad oggi è stato visto da più di 1,5 milioni di persone e ha raccolto oltre 2500 commenti, in tantissimi ci hanno chiesto di approfondire un tema tanto delicato e importante. Nel secondo reel abbiamo infatti cercato di spiegare nel concreto cosa potrebbe succedere dopo la pubblicazione di immagini di minori sui social.
Il nostro vicedirettore Reginaldo Palermo ha spiegato che si tratta di una pratica didattica certamente molto avanzata rispetto a chi pensa che la valutazione debba servire solo a “selezionare” o al massimo a “registrare” gli esiti degli apprendimenti con un laconico: “bene”, “non ci siamo”, “sei troppo disordinato” o “c’è ancora qualche errore”. Cogliendo però anche qualche limite, come “l’approccio un po’ troppo ‘personalizzato’” e “un po’ ‘pericoloso’, perché potrebbe generare dipendenza e spostare l’attenzione dal compito alla relazione.
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