Il critico d’arte e sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi è stato ospite della trasmissione di La7 Tagadà, durante la quale ha presentato il suo nuovo libro e ha parlato della stretta attualità: il personaggio televisivo non ha potuto non riflettere sull’omicidio di Giulia Cecchettin e su una possibile introduzione dell’educazione alle relazioni a scuola.
Secondo Sgarbi bisognerebbe concentrarsi di più sulle materie curriculari, soprattutto quelle artistiche: “Credo che la scuola possa avere dei compiti importanti se espleta le funzioni di far capire la sostanza del pensiero. Studiare bene Renzo e Lucia dei Promessi Sposi è più educativo rispetto a educare a comportamenti e principi che diventano poi quasi delle forzature”.
“Credo sia importante avere dei modelli, che la letteratura e l’arte ci indicano. Quei modelli sono dentro di noi. Mio padre e io siamo stati sostenuti dalla bellezza della poesia, è come se si avesse una gentilezza che viene dalla meraviglia di quelle parole e di quelle immagini”, ha aggiunto, parlando di modelli di vita.
“Probabilmente nessun ragazzo guarda davvero Michelangelo, nessun ragazzo legge veramente Dante. Se uno capisce lo spirito profondo di quelle parole si migliora. L’educazione deve essere la conoscenza. Educare a essere buoni è molto meno efficace che educare a sentire la bellezza. La lettura di cose profonde, come i Sepolcri, come Leopardi, ci fa sentire qualcosa di profondo che ci fa essere più buoni”
“Una materia di educazione al comportamento non so quanto possa essere efficace. C’è una realtà che è il male. La risposta al male è il bene che abbiamo dentro”, questa l’opinione di Sgarbi.
E, sul fatto di cronaca nera in sè: “Purtroppo non è un fatto singolo, è un fatto che ci riguarda. Quello che è capitato nel ragazzo è dentro di lui, è l’irrazionale. Nel maschio c’è una violenza di genere legata all’idea del possesso, l’idea che è meglio che purché non se ne vada è meglio che una persona non esista”, ha concluso.
I ragazzi hanno dei modelli di vita cattivi o non ne hanno proprio? Questa la domanda che si è posto giorni fa il giornalista Carlo Baroni, su Il Corriere della Sera, raccontando un aneddoto relativo ad un docente, che ha posto la domanda fatidica ad un ragazzo: “Chi sono le tue figure di riferimento?”.
La risposta è spiazzante. “Lui ci pensò e rispose che non gli veniva in mente nessuno. Nessuno che lo ispirasse. Poteva cavarsela magari con il nome di un rapper. O del bomber della squadra del cuore. Preferì la via della sincerità. Non vedeva nessun modello di vita intorno a sé”, ha raccontato il docente, sorpreso.
Né i genitori, né un idolo musicale, né un campione sportivo: nessuno. Questa mancanza di un modello a cui ispirarsi non suggerisce nulla di buono. “La stessa domanda trent’anni fa avrebbe avuto un’altra risposta. Esistevano ancora gli ‘eroi’. O quantomeno donne e uomini che noi ritenevamo tali. Non che il mondo fosse un posto migliore per viverci. Solo ci sembrava ci desse più speranza. Sono cambiati i ragazzi di oggi? Difficile fare confronti. Ma l’idea è che siano i grandi a latitare”, ha scritto il giornalista.
Il procuratore capo della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, recentemente ha detto che “c’è un decadimento tra i giovani (che non sanno scrivere neanche più in italiano), le loro famiglie (ci sono genitori che a 45 anni vogliono fare i 20enni), e la colpa è perché i governi negli ultimi 10 anni non hanno voluto investire in istruzione”.
“Oggi ai ragazzi non bisogna parlare di etica, ma di soldi, solo così i ragazzi ti ascoltano. Bisogna loro spiegare quanto guadagna un corriere della droga, ma anche cosa rischia. Oggi non si conta in base a cosa si è, ma in base a cosa si ha: un insegnante che arriva con una vecchia Fiat Tipo a scuola è visto dai ragazzi come uno sfigato. Mentre il cafone che arriva al pub con il Suv è visto come un esempio”, ha concluso, facendo un paragone.
Gratteri ha tirato in ballo anche le serie tv, dal suo punto di vista colpevoli dell’imbruttimento degli atteggiamenti dei ragazzi, a suo dire sempre più violenti. Probabilmente, visto anche la location in cui ha proferito queste parole, ha fatto riferimento alla fiction Rai Mare Fuori.
La professoressa palermitana Giovanna Corrao ha discusso in merito al rischio di emulazione di figure negative che i giovani osservano in prodotti culturali nel genere (Mare Fuori, per chi non lo sapesse, è ambientata in un Ipm, un istituto penale minorile). Spesso, senza un filtro, senza la visione accompagnata dagli adulti, i ragazzini faticano a capire il messaggio della serie, il contesto, e finiscono per vedere personaggi criminali come eroi da seguire.
Ecco le parole della docente: “Mare Fuori è fatta bene. Ma i ragazzi molte volte non guardano lo spaccato drammatico. Molti dei protagonisti muoiono perché fanno quella vita. Loro mitizzano queste figure senza considerare che sono negative quindi bisognerebbe accompagnare sempre i ragazzi nella fruizione di queste serie”, questo il suo pensiero.
Cristina, diplomata al liceo musicale e in una scuola di recitazione, aspirante attrice del musical ispirato alla serie, è dell’avviso che non vi siano collegamenti tra serie tv e realtà: “Ho visto Gomorra e Mare Fuori e non ho mai ammazzato nessuno o messo le mani addosso. I problemi non arrivano dalle serie tv, ma molto spesso dai problemi della famiglia in cui si cresce e per questo bisogna aiutare i ragazzi da un punto di vista sociale, della scuola. Solo così i ragazzi non prendono o’ fierro, come dicono nelle serie, ma si impegnano in cose più vere per crescere bene”, questa la sua opinione.
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