Il direttore della Tecnica della Scuola Alessandro Giuliani, intervenuto Tv Byo Blu, ha discusso a proposito dello stato della scuola italiana in occasione dell’apertura dell’anno scolastico 2022/2023.
Innanzitutto Giuliani ha spiegato quali sono, a suo avviso, le conseguenze che potrebbe avere la crisi energetica sulla scuola: “Si parla tanto di settimana corta. Il primo provvedimento che si potrebbe prendere per ridurre le spese è eliminare, in quelle scuole dove è attivata la settimana di sei giorni, il sabato. Detto ciò si parla anche di mascherine e rimane un dato di fatto: nelle scuole in questo momento l’unico dispositivo che viene adottato contro un’impennata di casi Covid è quello delle finestre aperte. L’aerazione meccanica di cui tanto hanno parlato i virologi, che hanno preso come riferimento come dispositivo efficace nelle scuole, c’è solo in non oltre il 2-3% degli istituti. Ci siamo anche documentati su questi dispositivi: non basta installarli ma poi bisogna fare la manutenzione. Questo avrebbe comportato una maggiore risposta da parte del Governo ma ciò non è avvenuto. È stato eliminato anche il distanziamento minimo. Ci ritroviamo con 8 milioni di alunni, 1 milione di docenti, 200mila ATA e collaboratori che si ritrovano con il pericolo Covid”.
Viene da chiedersi a questo punto, come si conciliano eventuali dispositivi di questo tipo con la necessità di ridurre l’uso di energia? Secondo il nostro direttore il problema, come ha già anticipato, non si pone: “Ad agosto il ministero ha emanato delle linee guida invitando le scuole a contattare l’ARPA. Questa però si è tirata indietro pochi giorni fa sostenendo che non è nelle condizioni di poter effettuare controlli sulla qualità dell’aria all’interno degli istituti. Di fatto anche questa indicazione è venuta meno. Il problema dell’energia legata all’aerazione automatizzata non esiste. Nelle scuole c’è il problema legato ad una eventuale richiesta di abbassamento dei consumi, che potrebbe realizzarsi con la settimana corta o con la compressione dell’offerta formativa sotto forma di riduzione oraria scolastica da un’ora a 50 minuti oppure ricorrendo alla DaD, ormai sperimentata e avviata. Il 90% delle scuole – ha continuato – sono ormai pronte a questa possibilità. Viene da chiedersi se debba essere ancora la scuola a sacrificarsi per venire incontro a esigenze che possano essere affrontate da altri comparti. I nostri ragazzi hanno perso tantissimi giorni di scuola in presenza. Poi non c’è da scandalizzarsi se i risultati INVALSI non sono brillanti soprattutto in certi territori”.
E poi, ancora, sulla possibilità di ridurre le ore di lezione: “In alcuni casi è prevista già per casi di pendolarismo per venire loro incontro. Laddove non ci sono esigenze di questo genere le unità orarie sono di 60 minuti. Sempre il dimensionamento del 2008 ridusse di molto il numero di ore settimanali di scuola. Adesso la tendenza è svolgere un pacchetto orario più vicino alle 30 ore settimanali. Si sono aggiunte anche le ore di alternanza scuola lavoro, che a volte portano via le ore di lezione. Spero non si arrivi a una riduzione oraria in presenza, soprattutto per alunni con necessità particolari”.
Secondo Giuliani la didattica a distanza è un rischio non per motivi legati al Covid ma al caro energia: “Al momento per quanto riguarda lo stato pandemico, non si parla di DaD. Lo dice anche il Ministero, che l’ha negata sorprendentemente anche per i ragazzi positivi. Questo è stato imposto a sorpresa a fine agosto anche per mandare un segnale di necessità di svolgere le lezioni in presenza. Per quanto riguarda il problema dell’energia, qualora dovesse esserci un’esigenza del genere dovrà essere il Governo a prendersi la responsabilità di far perdere ulteriori ore di lezione ai ragazzi”.
Per il nostro direttore la scuola deve continuare ad essere in presenza; tuttavia, a suo avviso, si potrebbe pensare ad attivare la DaD in caso di alunni positivi o malati, cosa al momento non prevista dalle indicazioni ministeriali anti-Covid: “La scuola è relazione, deve essere in presenza. Il Covid ci ha insegnato tanto, siamo stati in grado di dare delle risposte buone sul fronte scolastico ma ribadisco che, anche se a fronte di modalità telematiche inaspettate, c’è bisogno di tornare in presenza, c’è bisogno di un contatto diretto con docenti e compagni. Si rischia di perdere il contatto con gli altri. Detto ciò non voglio essere apocalittico, sappiamo benissimo dell’utilità di questi strumenti qualora dovesse subentrare un problema oggettivo, una malattia prolungata; per questo mi sorprende la posizione rigida del Ministero. In questi casi credo che la scuola si potrebbe attivare autonomamente e mettere a disposizione anche durante la lezione un collegamento online per far partecipare un alunno da casa”.
Giuliani ha poi argomentato il motivo per cui, come ha già detto, è difficile che si arrivi ad un aumento degli stipendi dei docenti come promettono tanti politici: “Il contratto 2019/2021 fa riferimento a prestazioni lavorative già svolte. Sappiamo che si arriverà a 100/105 euro lordi medi a dipendente. Questo è frutto di 2/3 Leggi di Bilancio che hanno creato questo pacchetto di aumenti, previsto per tutti i dipendenti pubblici. Per il nuovo contratto 2022/2024 toccherà al nuovo Governo trovare delle risorse aggiuntive. Ciò, secondo me, non sarà facile: abbiamo una guerra in atto, una forte inflazione, abbiamo spese da affrontare, la pandemia; se non abbiamo trovato le risorse negli anni precedenti sufficienti per aumenti sostanziosi perché si dovrebbero stanziare questi soldi alla scuola se ciò non è stato fatto negli ultimi 10-15 anni?”.
“Al momento la scuola viene posta ai primissimi posti dell’agenda politica per tutti i partiti, sia sul fronte degli insegnanti sia sul fronte dell’offerta formativa. Dal segretario dem Letta che vuole aumentare gli stipendi dei docenti spendendo 10 miliardi alla destra che parla di carriera degli insegnanti. In ogni caso secondo l’ultimo DEF l’investimento dell’Italia sulla scuola rispetto al PIL, oggi al 4%, molto minore rispetto alla media europea, sarà portato al 3.5% a causa della denatalità che di recente ha portato a 200mila iscrizioni in meno nelle scuole in appena due anni. La denatalità comincia ad avere effetti importanti”, ha spiegato Giuliani.
La denatalità è uno dei grossi problemi del nostro Paese, a causa del quale ci sono sempre meno iscritti a scuola negli ultimi anni. Ciò potrebbe risolvere l’annosa questione delle classi pollaio? Ecco la risposta di Giuliani: “Teoricamente sarebbe un’occasione d’oro, incrociare il dato della denatalità con l’acquisizione dei fondi del PNRR. Però di fatto abbiamo iniziato l’ennesimo anno scolastico con i dati sulla formazione delle classi ancora derivanti dal dimensionamento, dai tagli fatti nel 2008 che portano la formazione di classi, soprattutto alle superiori, con quasi 30 alunni. Questo cozza sia sul fronte della sicurezza sia con il Covid, oltre che con la qualità dell’offerta formativa”.
“Rispetto a 20 anni fa abbiamo una presenza maggiore di studenti con DSA, con disabilità o BES. Questi bisogni necessitano percorsi personalizzati: con più di 25 alunni in classe è quasi impossibile gestire tutto ciò. Quale occasione migliore per ridurre il numero di studenti per classe in modo da creare lezioni con un approccio diverso, formando sottogruppi?”, ha concluso Alessandro Giuliani.
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