Giulio Andreotti è morto

Politico fra i più discussi e controversi della Repubblica, è stato sulla scena politica da più tempo della regina Elisabetta. Ma è stato anche l’uomo di governo e di partito più blasonato: sette volte alla guida dell’esecutivo, uno dei leader democristiani più votati.
Per i suoi detrattori era pure “Belzebù” e politico “cinico e machiavellico” come lui stesso, in fondo, amava coltivare la sua immagine.
In più di mezzo secolo di vita pubblica, fu Buscetta a raccontare la storia del bacio al mafioso Totò Riina e lui sfidò i giudici andando a tutte le udienze del processo che lo vedeva imputato.
Da giovane, era un ragazzo religioso, studioso, molto serio, la schiena già lievemente incurvata e le idee chiare sul suo futuro. Si dice che fu il Papa in persona, Pio XII, a volerlo alla presidenza della Fuci , l’organizzazione degli universitari cattolici, al posto di Aldo Moro.
Dopo pochi anni si ritrovò catapultato nelle stanze dei bottoni grazie all’ottima impressione che aveva fatto al leder della Dc Alcide De Gasperi. Nel 1946, a 28 anni, era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con una delega particolare per lo spettacolo.
La “legge Andreotti” del 1949 servì a finanziare il cinema italiano. Di quegli anni si ricorda la polemica con Vittorio De Sica, accusato dal giovane sottosegretario di aver reso “un pessimo servizio all’Italia” con il suo pessimistico film “Umberto D”. Ma l’ambizione lo spingeva verso altri palcoscenici. Nel 1954 fece il salto e diventò ministro. Il suo feudo elettorale era la campagna a sud di Roma, da dove proveniva la sua famiglia: Fiuggi, Anagni, Alatri, antichi possedimenti delle nobili famiglie capitoline, diventarono centri della sua rete elettorale e clientelare. Politicamente rappresentava l’ala più conservatrice e clericale della Dc, i suoi avversari interni erano i fautori del centrosinistra, come Moro e Fanfani. Ottime le sue entrature in Vaticano, estesissima la sua rete di contatti internazionali.
Fu nel 1972 che riuscì ad arrivare alla presidenza del Consiglio. Lo scelsero con scarsa convinzione, per dar vita a un governo di centro dalle scarse prospettive. E infatti fu il governo più breve della storia repubblicana: solo 9 giorni, dalla fiducia alle dimissioni. Ma il nostro non si scoraggiò. Già allora sapeva che “il potere logora chi non ce l’ha” e che “a pensare male si fa peccato ma di solito ci si indovina”. Queste due massime rappresentano la sintesi perfetta del pensiero politico andreottiano e sono ormai espressioni comuni. Per una di quelle curiose alchimie della politica che caratterizzavano la prima repubblica, fu lui, l’uomo della destra Dc, a essere chiamato a guidare i governi di solidarietà nazionale, alla fine degli anni settanta, con l’appoggio esterno del Pci. I leader della Dc avevano capito quale era la sua più grande dote: conciliare gli opposti, smussare gli angoli, digerire le difficoltà. Emblematico il suo rapporto con Craxi.
Il leader socialista non lo vedeva di buon occhio e fui lui a coniare il soprannome di Belzebù.
Andreotti era “la volpe che finirà in pellicceria”. Ma qualche anno dopo, di nuovo a Palazzo Chigi, Andreotti strinse un patto di ferro proprio con Craxi: erano gli anni del “caf” (dalle iniziali di Craxi , Andreotti e Forlani) e l’opposizione di sinistra lo considerava come il peggio del peggio della politica italiana. Il film “Il Divo” di Sorrentino lo ritrae come responsabile o complice di mille nefandezze. Lui stava per querelare, ma poi preferì lasciar correre: era più andreottiano così: forse anche perché, altra sua perla di cinica saggezza, “una smentita è una notizia data due volte…”. (tratto da Ansa) 

Ecco le frasi più note e citate

Anche quest’anno ce l’abbiamo fatta, grazie a Dio. Tanti miei compagni di scuola non ci sono più. Io capisco e gli altri capiscono quello che io dico.
La cattiveria dei buoni è pericolosissima.
Aveva spiccatissimo il senso della famiglia. Era infatti bigamo ed oltre.
L’umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi.
Vi è un genere pericoloso di numismatici: i collezionisti di moneta corrente
Meglio tirare a campare che tirare le cuoia.
Spero di morire il più tardi possibile. Ma se dovessi morire tra un minuto so che nell’aldilà non sarei chiamato a rispondere né di Pecorelli, né della mafia. Di altre cose sì. Ma su questo ho le carte in regola.
In riferimento al disegno di legge sui DICO: E dire che noi abbiamo sudato lacrime e sangue per fare la riforma agraria e per dare la terra ai contadini. Invece, oggi vogliono dare il contadino al contadino.
Io distinguerei i morali dai moralisti, perché molti di coloro che parlano di etica, a forza di discutere non hanno poi il tempo di praticarla.
Io credo che bisogna star molto attenti sia nel considerare le persone dei santi, e questo lo vedremo nell’altro mondo, sia quando si cerca di dare ad un piccolo gruppo la coda dei diavoletti, senza mai vedere veramente se poi lo sono davvero. Io, certamente, se le persone con cui lavoro non fanno il loro dovere, non mantengo i rapporti, ma non sono, però, così supponente da sentenziare: bah, siccome è uno di cui si dice male, devo prendere le distanze. Questo non mi pare giusto.
La lealtà è molto importante, perché quando si sa che di uno ci si può fidare, allora si ha un legame straordinariamente fecondo.
In fondo, io sono postumo di me stesso.
 (da Dire)

Pasquale Almirante

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