Durante la mia carriera scolastica ho partecipato a molte sessioni degli esami di maturità, così chiamati fino al 1998. Indi con la profonda riforma entrata in vigore nel 1999, sono divenuti Esami di Stato.
Il salto di qualità rispetto alla formula in vigore dal 1969 è stato alquanto evidente. In particolare, nella composizione delle commissioni, nelle prove d’esame e nel punteggio attribuito risultante dalla somma delle prove scritte, del colloquio e del credito maturato nell’ultimo triennio.
Una novità, dunque, che ha fortemente cambiato il modo di valutare le conoscenze, competenze e capacità. Sicuramente un vantaggio la commissione mista che chiamava il candidato a misurarsi con docenti interni ed esterni.
Sono state esperienze forti che davano la possibilità a chi era chiamato ad una così significativa funzione di servizio pubblico di confrontarsi con altre metodologie di insegnamento ricavando, pertanto, utili elementi per confrontare e, soprattutto, migliorare il proprio modello di fare scuola.
Non si deve smette mai di imparare! Quando ci si sente sicuri è proprio è il momento che si potrebbe cadere. Dare la responsabilità agli altri non è sempre equivalente a ricercare una giustificazione.
“Perché mai la classe durante le mie ore non è attenta, c’è confusione, si studiano altre materie, manca l’interesse e la partecipazione”?
“Forse che non sia il caso di rivedere quello che non va, dialogando con gli studenti e cercando di capire cosa fare per migliorare”?
Sono domande da farsi in presenza di situazioni dalle quali spesso è difficile trovare una via d’uscita. Certamente non sto pontificando, ma tali riflessioni sono frutto di esperienza quotidianamente vissuta fino all’ultimo giorno di servizio.
Il lavoro dell’insegnante, come è noto, è impegnativo, gravoso, fonte di amarezza per le incomprensioni ricevute, ma non bisognerebbe dimenticare anche le soddisfazioni, benché non frequenti, che si ricevono.
Lavorare in una classe nella quale c’è qualche, o meglio, ci sono elementi trainanti che conseguono risultati di ottimo livello è senza dubbio appagante.
Appagante al punto tale che entrare in classe non è un “peso” e mette nella predisposizione di dare il meglio di sé stessi.
E quando al termine del ciclo di studi i risultati si confermano ottimi, se non eccellenti, in tutti gli anni ecco, allora, il raggiungimento della massima gratificazione. “Ci siamo impegnati come squadra di consiglio di classe e possiamo ritenerci veramente soddisfatti”.
Ma non è ancora finita. Se il nostro candidato (o candidati) superano le prove dell’Esame di Stato con il massimo punteggio accompagnato anche dalla lode, ecco allora che potrebbe esserci la segnalazione della scuola per poter partecipare al conferimento dell’Attestato d’Onore di Alfiere del Lavoro.
E’ una benemerenza semi-statale istituita dalla Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, in collaborazione con la Presidenza della Repubblica Italiana, in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia nel 1961.
Ogni anno, infatti, al Quirinale, al momento della consegna delle onorificenze ai Cavalieri del lavoro dell’Ordine al Merito della Repubblica, vengono scelti i migliori studenti d’Italia tra quelli diplomati nelle scuole secondarie di secondo grado.
Con l’Attestato d’Onore viene consegnata anche la medaglia del Presidente della Repubblica. Il numero dei premiati, venticinque, è legato a quello dei Cavalieri del Lavoro per sottolineare la continuità dell’impegno nello studio e nella vita.
Sono richiesti precisi requisiti per accedere alla segnalazione fatta dai Dirigenti Scolastici.
Ognuno vede che, pur trattandosi di traguardi ambiti, quasi impossibili da raggiungere, la reale concretezza di arrivarci non è così remota.
Giovanni Todeschini
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