Alunni

Gli alunni che non usano pc e tablet a scuola sono più bravi nella lettura, ma forse non è una regola

Le nuove tecnologie, ad iniziare dai computer, sono certamente utili per studiare. Ma non sono indispensabili. Anzi, se guardiamo gli alunni della primaria che non utilizzano pc e tablet sembra addirittura che i risultati nella lettura dei testi siano migliori. A rivelarlo è l’indagine Pirls 2021, presentata nell’Accademia dei Lincei il 16 maggio dal presidente Invalsi, Roberto Ricci, e da due ricercatrici dell’istituto di valutazione.

Come si può “leggere” questa indicazione? Sicuramente non si può mettere in dubbio la sua valenza, considerando che secondo gli esperti dell’Indire i dati forniti valgono “sia per l’Italia sia nelle diverse aree geografiche”.

È probabile, allora, che a quell’età, in quarta primaria, l’influenza dei device sull’apprendimento sia ancora poco influente. E che a “segnare” il livello di apprendimento sia la famiglia di appartenenza: non a caso, ha rilevato l’Invalsi, “gli studenti che frequentano scuole dove c’è una maggioranza di studenti provenienti da famiglie benestanti hanno in media punteggi di lettura più alti, + 31 punti, rispetto a quelli che frequentano scuole dove c’è una maggioranza di studenti provenienti da famiglie economicamente svantaggiate”.

Ad influire è anche il vissuto pre-scolastico: svolgere molto bene le attività di pre-lettura e pre-scrittura, prima dei sei anni, hanno spiegato gli esperti dell’Invalsi, produce spesso punteggi migliori.

E c’è un altro dato su cui riflettere: gli alunni che amano molto leggere ottengono risultati migliori nella performance in lettura rispetto agli studenti che amano poco leggere. Anche in questo caso, tale risultato è statisticamente significativo sia per l’Italia sia per il Sud e Isole.

Certamente, però, per giungere a delle spiegazioni certe bisognerà attendere che l’Invalsi fornisca altri elementi: se, per esempio, l’inutilità dei tablet e dei computer valga solo per la lettura oppure se debba invece essere allargata ad altri tipi di apprendimenti, come quelli che derivano dallo studio delle lingue straniere o della matematica.

Inoltre, sarebbe interessante comprendere se lo stesso andamento – in presenza delle tecnologie l’abilità nella lettura cala – vale anche per la scuola secondaria: alle medie e alle superiori, infatti, è probabile che l’utilizzo intelligente dei tablet agevoli non poco la comprensione delle lezioni, come pure l’interpretazione corretta dei testi e quindi anche della lettura.

Se, però, anche cambiando corso di studi e età degli allievi il risultato dovesse rimanere modesto, sempre per quelli che utilizzano pc e tablet, allora bisognerebbe rivedere più di qualche strategia didattica. A cominciare dalla scelta, italiana ma non solo, di investire molti dei soldi europei del Pnrr per il potenziamento massiccio delle nuove tecnologie utilizzate a scuola.

Va la pena investire dei miliardi nel potenziamento tecnologico delle scuole, se poi gli alunni che non le utilizzano hanno maggiori conoscenze e competenze? Forse, allora, ha capito tutto la maggioranza del Consiglio d’Istituto del liceo Albertarelli di Roma, che per evitare l’uso improprio o eccessivo delle nuove tecnologie ha rimandato al mittente qualcosa come 300 mila euro di fondi del Pnrr.

Sicuramente stiamo andando oltre la portata dei dati resi pubblici il 16 maggio, ma è meglio porsi il dubbio oggi piuttosto che accorgersi tra qualche anno di avere sbagliato tutto.

Alessandro Giuliani

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