I lettori ci scrivono

Gli alunni devono crescere, non restare eterni bambini

Nelle scuole primarie e secondarie di I grado esiste l’usanza di fare gli spettacoli natalizi (le cosiddette recite di Natale) che sono una cosa molto bella da osservare soprattutto per quell’alone magico che l’atmosfera del Santo Natale suscita.

Bambini e ragazzi delle scuole medie vengono coinvolti nella esecuzione dei canti natalizi con gli strumenti musicali e molti genitori si recano nelle scuole per assistere agli spettacoli natalizi, ma spesso accade che gli alunni appaiano quasi travolti dall’entusiasmo e dalla gioia di cantato e suonato, ma più felici di loro sono i genitori attentissimi con macchine fotografiche e smartphone ad immortalare ogni istante della rappresentazione trasformando i loro figli in tanti piccoli “vip”.

Ma questo successo o momento di gloria deve essere matabolizzato dai bambini e dai ragazzi per farli poi tornare “con i piedi per terra”, cioè far capire loro che la rappresentazione del Natale è soltanto un momento della loro crescita formativa e che contribuisce dal punto di vista pedagogico a tale scopo.

Non bisogna dare loro l’illusione che, poiché si sono esibiti in una rappresentazione del Natale siano già diventati “personaggi famosi”. No, non è così.

Il saper cantare, suonare, ballare, recitare esige impegno, costanza, sacrificio e studio per poi raggiungere gli obiettivi nella vita. Non si può restare “eterni bambini” e la scuola deve preparare gli alunni a diventare adulti e responsabili, altrimenti assistiamo ad un processo di “bambinizzazione della scuola”.

I genitori devono accompagnare i figli nelle diverse fasi della crescita evolutiva, ma spesso ci troviamo di fronte a padri e madri che sono “eterni bambini”.

La scuola oltre al compito della formazione, dell’educazione ha anche il compito, insieme alla famiglia di accompagnare gli alunni nella loro crescita evolutiva, perché spesso abbiamo alunni che arrivano alla maggiore età, cioè a 18 anni e sono ancora immaturi e credono di essere ancora dei “bambini”.

Mario Bocola

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