Studenti sempre più stressati e pressati a causa della scuola e di una spietata corsa verso bei voti e prestazioni alte. Questa è la fotografia che emerge da un sondaggio sottoposto agli alunni del liceo linguistico paritario Manzoni di Milano, come riporta Il Corriere della Sera.
Secondo l’indagine, promossa dal collettivo “Manzoni antagonista”, sette studenti su dieci soffrono spesso di crisi di pianto o crollo emotivo dovuti alla scuola. Addirittura il 16% dei partecipanti denuncia di averli sempre. Uno studente su due, inoltre, non sente valorizzato il suo impegno da parte dei docenti e sente influenzata la propria salute mentale proprio dalla scuola.
Più della metà dice di sentirsi classificato solo in base ai voti e forzato a raggiungere l’eccellenza. “Fondare la scuola su concetti come merito e competitività, alimentando un continuo stato di pressione, trasforma lo studio da accrescimento personale a un’interminabile prestazione”, scrive il gruppo studentesco in un comunicato. L’obiettivo è che “questa nostra analisi non sia fine a se stessa, ma principio di un cambiamento” concludono i ragazzi.
La dirigente scolastica Maria Rossi, che sembra avere intenzione di considerare questi risultati e fare qualcosa in merito ha annunciato che i professori discuteranno i risultati dell’indagine in collegio docenti. “Ho chiesto ai ragazzi una relazione sul sondaggio con i risultati. Ci accorgiamo che gli studenti fanno più fatica ad affrontare lo studio rispetto a quanto avveniva in passato. In particolare, le classi prime e le seconde sono quelle che hanno risentito di più della chiusura delle scuole nel lockdown. Anche la psicologa ci ha segnalato un aumento delle situazioni di stress e degli attacchi di panico, non in maniera vertiginosa, ma comunque importante. Su questo ci stiamo interrogando anche noi, per mettere in atto strategie di aiuto. Abbiamo già incrementato il monte ore del servizio di ascolto psicologico. E nelle classi prime da due anni abbiamo, introdotto la figura del docente tutor, dedicato al metodo di studio e all’organizzazione del tempo in base al carico di lavoro”, conclude la preside, sottolineando le difficoltà che hanno affrontato molti alunni anche a causa del periodo di pandemia.
Il tema della competitività e della, spesso asfissiante, pressione verso gli ottimi risultati percepita dagli studenti, che spesso intacca la salute mentale, è al centro dell’attenzione nell’ultimo periodo. Basta pensare ai numerosi suicidi di studenti universitari, che hanno spinto molti rappresentanti universitari a fare appelli contro la parte “tossica” del concetto di merito.
Basta pensare a Emma Ruzzon e al suo discorso di febbraio all’università di Padova, un vero e proprio grido di allarme alla società. “Stanchi di piangere i suicidi dei nostri coetanei. A noi studenti viene richiesto di eccellere nella precarietà e con aspettative asfissianti. Non si tiene conto dei tempi di ognuno di noi né degli ostacoli economici e sociali”, ha detto la studentessa.
Di particolare rilevanza è stato il discorso di Alessandra De Fazio, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Ferrara di fronte al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini dello scorso martedì 4 aprile. “Sono un fallimento, non merito di vivere. Queste non sono le parole che titolano l’ennesimo giornale che riporta quotidianamente, accanto alle morti delle nostre compagne, l’esaltazione di una studentessa che riconosce nel sonno un ostacolo per laurearsi nella metà del tempo. Queste parole sono uscite dalla stessa bocca della persona che oggi sta di fronte a voi, queste parole le ha dovute sentire e subire mia madre quando subito dopo il test di medicina ho percepito di non avercela fatta, per la seconda volta”, ha esordito la ragazza.
La tematica della meritocrazia è al centro del dibattito sulla scuola in questi giorni anche dopo che è stata resa nota la decisione dell’Istituto Scalcerle di Padova di premiare con un bonus di 100 euro gli studenti con una media dei voti non inferiore al 9. Ciò ha scatenato molte polemiche: giusto dare dei soldi come ricompensa a chi studia e ha buoni risultati? Si tratta di un altro fattore che genera ansia? Per molti sì.
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