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Gli alunni vittima di bullismo e la scuola

L’Eurispes, qualche anno addietro, pubblicò, nel suo rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, questo inaspettato resoconto attraverso il quale si capì una limitazione preoccupante degli adolescenti, quella cioè che gli alunni delle nostre scuole non hanno grande fiducia nelle capacità di intervento dei loro insegnanti per ottenere ragione delle prepotenze subite dei bulli.
In termini più chiari il rapporto diceva che solo il 2,7% degli adolescenti (i ragazzi compresi tra i 12 e i 19 anni) e il 16,6% dei bambini (quelli compresi tra i 7 e gli 11 anni) che subiscono episodi di bullismo chiedono aiuto ai loro professori, ritenendoli quindi idonei a risolvere il loro problema; tutti gli altri o cercano di sbrigarsela da soli (22,3%) o ne parlano coi coetanei (29,2%) o chiedono l’intervento dei familiari (20,1%), nonostante l’atto di prevaricazione, che ha riguardato un ragazzo su due, si sia verificato a scuola.
Se può ancora interessare l’azione più comune contro i più deboli era la diffamazione a mezzo stampa (scritte sui muri o alla lavagna) o via etere (la calunnia col passa parola o via internet), mentre erano circa 40mila i minori denunciati ogni anno per bullismo, il cui fenomeno però incomincia a non interessare più di tanto i coetanei dei ragazzi vittima dell’aggressione.
Al di là dei dati, tuttavia, è interessante capire perché gli studenti non si rivolgono ai loro docenti che sono quelli più immediatamente raggiungibili visto che tali episodi si verificano in classe o comune all’interno della scuola.
Manca ancora una indagine statistica, ma con ogni probabilità ciò è dovuto alla netta percezione dei ragazzi che il docente non sarebbe idoneo a risolvere l’episodio e arginarlo, sia perché non avrebbe strumenti in mano sufficienti per intervenire, sia per una naturale diffidenza nei confronti della sua autorità.
Ma potrebbe pure avere un peso la paura che la denuncia al professore possa avere influenza negativa sul giudizio di valutazione, sia sul comportamento e sia sui voti complessivi, mentre il timore di essere accusato di delazione, di “spia” insomma, svolge un ruolo forse principale.
In ogni caso, e qualunque possa essere la motivazione della mancata richiesta di aiuto al proprio decente, questo aspetto depone alquanto male nei confronti dell’assetto educativo della istituzione scolastica, avallando per certi versi l’idea che ancora ci sia molto da fare sul piano degli interventi di aggiornamento e preparazione pedagogica degli insegnanti.
E’ opportuno allora che la scuola si interroghi e si chiarisca, ma appare pure inderogabile l’implementazione di nuove regole e di nuovi strumenti da consegnare ai docenti, a cui non bisognerebbe più chiedere la sola conoscenza della disciplina, ma anche i termini più importanti e particolari di psicologia dell’età evolutiva e di psicologia, di didattica e di pedagogia, visto pure che troppi docenti viaggiano ancora sulla memoria della propria esperienza di alunno o sulla pratica artigianale di cui taluni hanno sentito magari parlare.

Pasquale Almirante

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