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Gli effetti dei ridotti investimenti su istruzione, università e ricerca: Italia penultima in Europa per numero di laureati

La Tecnica della Scuola, da alcuni mesi, si concentra sulla situazione del sistema scolastico a livello locale, proponendo un saggio e doveroso rapporto con il resto d’Europa, comprendendo nelle analisi anche quelle realtà nazionali che, apparentemente, sembrerebbero maggiormente arretrate in termini di investimenti in istruzione e ricerca.

Come si evince dai rapporti EuroStat, il Belpaese impiega attorno all’8 % della spesa preventiva nazionale per mantenere i sistemi di formazione a livello nazionale che accusano oramai da decenni gli annosi problemi di precarietà, stipendi bassi e decadimento fisico delle strutture in cui i cittadini di domani vengono preparati al mondo del lavoro o dello studio.

La media europea in termini di investimenti su istruzione, università e ricerca tocca quasi il 10 %: da tale raffronto conseguono alcune peculiarità da sottolineare. La ricerca, che nel nostro paese rappresenta il fiore all’occhiello dell’innovazione tecnologico-scientifica, si sta progressivamente confrontando con un calo progressivo dei fondi messi a disposizione delle autorità; a ciò si sommano i pagamenti ridicoli ricevuti dai ricercatori che, dopo un decennio di studio e formazione, si dedicano ad un’attività brillante, innovativa e di vivace erudizione. 

I dati a livello europeo: il 4 % del PIL è investito in istruzione e formazione

Contro una media UE del 4,7 %, l’Italia si riconferma al fondo della classifica in termini di investimenti fattivi in ricerca, inserimento e formazione dei cittadini del futuro; il numero di laureati, specialistica in tasca o meno, è il penultimo a livello europeo, seguito solo dai dati scoraggianti della Romania, alle prese con una crisi sociale fin dalla rivoluzione del 1989. Il rapporto stilato da Unimpresa noto pubblicamente come “I giovani e l’istruzione: la spesa pubblica in Italia e i divari da colmare” – strutturato sui dati offerti da Banca d’Italia, Corte dei Conti, EuroStat e Ministero dell’Economia – fotografa un quadro desolante per il nostro Paese.

Un divario decisamente aperto con il resto del continente: l’arrivo del PNRR, con 191,5 miliardi erogati nei prossimi anni solo il 16 % di tali fondi assegnati dall’Unione Europea è dedicato a scuole, ricerca ed atenei, pari a 30, 6 miliardi. Si auspica che tale strumento – a differenza di misure finanziarie precedenti, sia in grado di risolvere e colmare le spaccature secolari che separano il Belpaese dal resto dell’UE.

L’accesso all’istruzione superiore e post-secondaria: una storia tutta italiana

Le contrazioni demografiche con cui il paese si trova alle prese da decenni, derivanti dal futuro professionale assai incerto, dalla precarietà dilagante e dai limitati investimenti finanziari in politiche finalizzate a favorire le nascite costituiscono uno strumento d’interesse per l’analisi svolta da EuroStat. Il numero di laureati in Europa sfiora i 18 milioni di individui: in termini di percentuale di popolazione che attualmente segue un corso universitario, si passa dal 17,9 % di Germania al 10,8 % del Belpaese. Il numero di laureati in Italia, sempre in rapporto alla popolazione, è del 17 % rispetto al 33 % di Francia e al 40 % del Regno Unito.

Si deve osservare con attenzione che il declino della spesa in istruzione e formazione universitaria in Italia è avvenuto in maniera più repentina e più rapida rispetto ai cambiamenti demografici osservabili dagli ultimi anni a questa parte. Dinanzi ad una sensibile contrazione degli investimenti, attestata sul -14 % negli ultimi anni, il numero degli iscritti a corsi di formazione post-secondaria e universitaria non ha subito notevoli ridimensionamenti, perdendo in termini statistici tre punti percentuali al massimo. 

Andrea Maggi

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