Categorie: Personale

Gli equilibrismi del dirigente scolastico

Uno studio promosso dalla Fondazione Agnelli, e raccontato dal sociologo Massimo Cerulo, cerca di spiegare le difficoltà e le diplomazie che ogni giorno i presidi devono affrontare per mandare avanti la baracca della scuola. Con le domande: quali sono le attività principali svolte dal Dirigente Scolastico nella sua quotidianità professionale? Quali e quanti ruoli si trova “costretto” a recitare? Quanto interagisce e quali comportamenti adotta nel rapporto con docenti, personale ATA, studenti e soggetti esterni al campo scolastico? Che rapporto instaura con il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi e con gli altri suoi più stretti collaboratori?

Il sociologo Massimo Cerulo, si legge sulla pagina Fb della Fondazione, ha applicato la tecnica dello shadowing, seguendo “come un’ombra” per un’intera settimana quattro Presidi di scuole secondarie superiori in quattro regioni italiane (Piemonte, Veneto, Calabria, Puglia) raccontando e analizzando comportamenti, dialoghi, interazioni, non detti.

 

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Il risultato è un’innovativa ricerca sociologica che focalizza lo sguardo su una delle figure professionali più discusse degli ultimi mesi, facendo in particolare emergere che oggi il dirigente scolastico italiano è costretto a fare mille mestieri diversi, ma trova difficoltà a essere un vero leader educativo.

Nei quattro casi descritti dal libro del socilogo (Edito da Rubettino), il preside trascorre, infatti, gran parte delle sue ore di lavoro facendo fronte ad attività di carattere amministrativo e in senso lato organizzativo, alle necessità di relazione con gli enti locali, con studenti e genitori, e talvolta addirittura a obblighi di natura giudiziaria in luogo dell’avvocatura dello Stato. Manca quasi del tutto, invece, la leadership educativa: in nessuna delle scuole investigate il dirigente è colto mentre discute con il collegio o i singoli docenti degli specifici indirizzi educativi della scuola, dei pregi o dei limiti delle attuali pratiche didattiche adottate (e come possibilmente rinnovarle), dei problemi di questa o quella classe o di questo o quel dipartimento. È difficile dire se questa scelta sia legata alla volontà di mantenere il “quieto vivere” nella scuola, astenendosi dall’interferire in un ambito che è spesso percepito di stretta e unica competenza del corpo docente, oppure se più semplicemente ai dirigenti manca il tempo – o talvolta le competenze – per dedicarsi agli aspetti didattici. In ogni caso, si tratta di un problema serio: se il preside – per una ragione o per l’altra – perde di vista l’oggetto stesso della sua azione, la sua efficacia non può che essere ridotta.

Pasquale Almirante

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