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Gli esuberi nei licei e il costo standard. Alcune riflessioni

Il problema degli esuberi presso alcuni licei classici e scientifici statali di Milano si ripresenta quest’anno in maniera rilevante, come denuncia il Corsera del 13 febbraio.

90 esuberi all’Einstein: valgono 900.000 euro di spesa evidentemente imprevista, stando ai 10.000 euro annui di costo pro capite per un alunno presso un ottimo scientifico statale milanese, indicati alcuni mesi fa dallo stesso Corriere.

Qualcuno dirà: è la moda degli scientifici e dei classici. Si vada a fondo: in tempi di incertezza e fragilità concettuale su tutti i fronti, di degrado delle compagini familiari, di offuscamento dei valori, chi appena ragiona (genitori e alunni) valorizza la cultura. “Con una buona scuola superiore hai una carta in mano. Potrai andare alle migliori università italiane, ma soprattutto straniere. Forse stai facendo un po’ male le Medie: tenta lo stesso, i voti alti ci sono. Poi, allo Scientifico ti faranno filare. Comincia a iscriverti. Vediamo se ti prendono.” Di fatto, la scure delle bocciature piomberà sulle 10 classi prime del famoso liceo: si sa. Ma nel frattempo 90 aspiranti sono sulla porta.

Finita l’era dei bacini di utenza, normalizzati in ascesa i voti finali dell’esame di licenza, eliminati quasi del tutto i poco democratici test di ingresso, migliorata la mobilità pubblica, i licei milanesi terribili per fama di severità e di gloria sono oggetto di un movimento centripeto anche da parte di rampolli volitivi di famiglie non italiane radicate da anni, ragazzini poveri e intelligenti che cercano un riscatto. “Perché non io al liceo prestigioso, dove i docenti sono (quasi) tutti seri, gli ambienti abbastanza puliti, il vicepreside gentile e il preside autorevole?”. Risultato: 90 da ricollocare non si sa dove.

In verità si saprebbe. Sicuramente, sia tra gli accettati nelle dieci classi prime, sia tra i novanta reietti c’è un buon numero che ha dovuto mettere una pietra sopra una fetta consistente dell’istruzione pubblica milanese: le buone scuole pubbliche paritarie, presenti da secoli sul territorio, dotate di un corpo docente titolato, motivato e compatto, potenti come stimolo alla competizione per le buone pubbliche statali, scuole inserite a pieno titolo nel Servizio Nazionale di Istruzione, che possono non essere scelte per l’impossibilità della famiglia di pagare due volte la scuola: con le tasse e con la retta. Infatti, il genitore impossibilitato a questa spesa, con il figlio intelligente e ben disposto al successo scolastico, non è libero di scegliere la buona scuola pubblica paritaria vicina a casa, o di cui condivide il Piano dell’Offerta Formativa, e deve orientarsi alla scuola pubblica statale, in quanto di fatto è considerato dallo Stato, come genitore, incapace di intendere e di volere (art. 30 c. 2 della Costituzione: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”). E’ l’unico motivo per cui è la Repubblica a scegliere l’istruzione e la formazione al posto del genitore.

Ma nel caso presente la Repubblica va oltre: impone al genitore di scegliere la pubblica paritaria, piaccia o non piaccia, abbia o no i soldi per pagare… A questo punto, uno dei 90 esclusi, mauriziano intelligente e serio, acculturato sui propri diritti in quanto la famiglia segue il dibattito milanese e italiano sulla libertà di scelta educativa in una pluralità di offerta formativa, butta l’occhio sulle rette della buona scuola pubblica paritaria a cui è costretto a rivolgersi. Si tratta di circa 6.000 euro annui… Sapendo dei 10.000 di spesa pro capite di cui sopra (in famiglia si parla), esclama: “Ma perché lo Stato non mi paga la retta alla pubblica paritaria? Risparmierebbe!”

Anna Monia Alfieri

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