Secondo Linkiesta.it, il ministero si sarebbe reso conto che non solo gli studenti, ma anche il corpo docente italiano ha qualche problema con l’inglese: secondo una ricerca della Fondazione Intercultura il 57% dei docenti in servizio valuta bassa o medio-bassa il suo “spoken english” e solo il 18% ha investito in esperienze all’estero. Insomma, nonostante nelle scuole italiane di ore d’inglese se ne facciano parecchie, 8 studenti su 10 pensano che il loro inglese vada migliorato. Il problema insomma è soprattutto nella qualità e non nella quantità dell’insegnamento.
E gli insegnanti sarebbero parte del problema ma anche parte della soluzione.
Per questo, sostiene il sito, il ministero avrebbe inserito nel “quizzone” del “concorsone” due domande su otto in lingua straniera, che nella scuola primaria e dell’infanzia è obbligatoriamente l’inglese. L’intento è chiaro: favorire l’ingresso nel corpo docente di insegnanti in grado di colmare questo gap formativo.
LA TECNICA DELLA SCUOLA E’ SOGGETTO ACCREDITATO DAL MIUR PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA E ORGANIZZA CORSI IN CUI È POSSIBILE SPENDERE IL BONUS.
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Senochè, strilla Linkiesta, ilCspi (consiglio superiore della pubblica istruzione il cui parere sugli atti del Miur non è vincolante) insorge, chiedendo di «ridurre la verifica di tale competenza rispetto alla valutazione complessiva, di tipo culturale, metodologica e didattica».E di portare da «due a uno i quesiti nella prova scritta in lingua straniera».
Questa presa di posizione però è un caso esemplificativo di come i rappresentanti sindacali nel Cspi vedano la scuola: un posto di lavoro. O, ancora meglio, come un luogo da presidiare, affinché una parte di loro – quelli più anziani e che fisiologicamente hanno meno competenze linguistiche – mantenga una posizione di favore rispetto a insegnanti più giovani e cosmopoliti. Con tanti saluti agli studenti, ai genitori che devono svenarsi per mandare i figli a frequentare costosi corsi d’inglese in scuole costruite ad hoc e alla tanto decantata mobilità sociale che la scuola pubblica, a parole, dovrebbe garantire.
La cosa più preziosa che manca alla scuola italiana, conclude Linkiesta, è il futuro. E la colpa per una volta non è della politica e dei ministeri: la colpa è di chi lo sacrifica per preservare il proprio presente.
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