In questo periodo si spara a zero facilmente sulla scuola e sugli insegnanti, in un momento in cui il prestigio sociale dei docenti sembra essere ai minimi storici.
Tuttavia, più volte dal mondo della cultura e dell’informazione sono arrivate parole d’elogio e di incoraggiamento per gli insegnanti, come quelle di Dacia Maraini o di Michele Serra, riportate recentemente da questa testata
Stavolta, su Piacenzasera.it, a prendere le difese dei docenti ci pensa Alessandro Barbero, storico e scrittore italiano, specializzato in storia militare e storia del Medioevo è docente ordinario presso l’Università del Piemonte Orientale.
Nel corso di un’intervista al sito d’informazione piacentino, lo scrittore ha infatti tracciato la differenza fra professori universitari e insegnanti di scuola: “per me personalmente è una parte importante ma secondaria del mio lavoro, perché chi insegna all’università ha come compito principale fare ricerca, su quella base è valutato e fa carriera. Insegnare a scuola invece significa dedicare tutto il proprio tempo lavorativo all’insegnamento, e credo che sia uno dei lavori più faticosi e usuranti che esistano, come dimostrano del resto le ricerche sul burn-out degli insegnanti. E’ anche uno dei lavori più belli e gratificanti che esistano, quando si ha passione, e quando c’è un adeguato riconoscimento sociale, senza il quale la passione non basta per evitare la frustrazione”.
Sulla questione della vocazione all’insegnamento Barbero non ha dubbi: “E’ ridicolo pretendere che un mestiere praticato in Italia da un milione di persone, e malissimo pagato, sia riservato a chi ha una spiccata inclinazione. Detto questo, ci sono anche molti insegnanti che hanno inclinazione, anzi passione, per questo lavoro, e il fatto che spesso perdano entusiasmo nel corso della loro carriera è in parte un risultato della natura umana, per cui l’entusiasmo giovanile si va perdendo col tempo; in parte un risultato del nostro sistema attuale, che fa di tutto per scoraggiare gli insegnanti bravi (specialmente quelli, noti bene) e far loro perdere entusiasmo”.
Lo scrittore ha le idee chiare anche su valutazione del merito e retribuzione: “retribuire diversamente i docenti in base al merito comporta infatti che bisogna decidere come valutare il merito e chi lo valuta, e questo è una grossa complicazione nella vita della scuola; se la valutazione è attribuita ai dirigenti scolastici, costituisce una grave responsabilità, di cui i presidi migliori saranno scontenti, perché non ameranno dover fare discriminazioni, mentre i presidi peggiori saranno contentissimi di poter premiare i loro amici (e in un paese come l’Italia questo succederà spessissimo). Gli insegnanti migliori in genere vorrebbero essere pagati bene, ma non vorrebbero essere pagati meglio dei loro colleghi, perchè spesso hanno ideali egualitari, e sanno cosa significa introdurre in una comunità disuguaglianze e privilegi; gli insegnanti peggiori, che diversamente da quelli bravi hanno molto tempo libero, cominceranno a studiare il modo per rientrare fra i premiati, che non sarà di diventare più bravi, ma di scoprire qualche via traversa, ammanicarsi il preside, accettare incarichi aggiuntivi e vuoti, inventarsi progetti inutili; così gli insegnanti migliori, anche se premiati con un aumento di stipendio, saranno comunque amareggiati, ma di fatto senza alcun dubbio in moltissimi casi a essere premiati saranno insegnanti mediocri o pessimi”.
Per lo scrittore, quindi, l’insegnante ha ancora un ruolo fondamentale nella società, che purtroppo invece non riece a valorizzare in questi ultimi anni.
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