Già con l’inizio del 2014 si conoscerà il nome del nuovo presidente Invalsi. Un nome atteso e conteso che alimenta speranze ed aspettative. Infatti ci sono coloro che, al vertice dell’Invalsi, vorrebbero una figura capace di riprendere, con assoluta continuità programmatica, il lavoro svolto dai precedenti presidenti. Esiste invece anche un’altra parte che considera l’opportunità di rottura con il passato e di un cambio di rotta sul programma di valutazione del nostro sistema scolastico. Punti di vista differenti che provengono da coloro che dovrebbero rappresentare il Gotha dell’alta dirigenza del sistema di istruzione italiano.
L’esistenza di questi due punti di vista stanno alla base delle polemiche giornalistiche che tirano in ballo i membri del comitato tecnico nominato dal ministro Carrozza, e chiamato a selezionare, tra varie candidature, il nuovo presidente dell’Invalsi.
C’è chi scrive che la costituzione di questo comitato rappresenti l’evidente tentativo, da parte del ministro Carrozza, di stravolgere l’indirizzo che l’Invalsi ha tenuto fino ad oggi. Gli stessi oppositori del comitato tecnico-scientifico che tante critiche hanno fatto all’indirizzo dei singoli membri chiamati a selezionare il nuovo presidente Invalsi, hanno sostenuto, in più di una circostanza, senza conoscere la realtà delle scuole italiane, che la classe docente italiana non vuole essere valutata.
La domanda che nasce dal basso, da chi la scuola la fa quotidianamente e la conosce in tutte le sue sfaccettature, è la seguente: “La critica diffusa in questi anni dalla grande maggioranza dei docenti, sui testi Invalsi, nasce da un rifiuto degli insegnanti a non volere essere valutati?”. Le cose non stanno affatto così! Si confonde la critica fatta dagli insegnanti e da alcune rappresentanze sindacali di categoria sul merito dei test Invalsi, con il rifiuto incondizionato dei docenti ad essere valutati.
Gli insegnanti della scuola pubblica italiana non si oppongono ad un serio sistema di valutazione del loro operato professionale, ma si oppongono invece allo strumento di addestramento ai test, che non prende in alcuna considerazione l’obiettivo principale dell’azione didattica dei docenti, volta ad educare e formare i propri studenti rafforzando e creando in loro, quello spirito critico necessario per essere cittadini autonomi e liberi. Addestrare gli studenti a rispondere correttamente ai test sulla tipologia delle olimpiadi di matematica o di fisica, non è sinonimo di essere buoni insegnati e di avere fatto il proprio dovere.
L’addestramento alla risoluzione dei test, non è un’abilità da riconoscere al bravo insegnante, che invece è veramente bravo se riesce ad insegnare metodi di studio, percorsi dimostrativi, ed insegna a comprendere un testo con spirito critico.
Queste ultime sono competenze che un test a risposta multipla non è in grado di rilevare, rischiando di dare una valutazione deformata, valorizzando soltanto l’abilità a selezionare risposte multiple e trascurando l’essenza educativa dell’utilizzo di percorsi logico-deduttivi e del sano spirito critico.
Gli insegnanti non vogliono essere valutati come se fossero degli addestratori, loro pretendono una valutazione seria ed oggettiva, che tenga conto anche delle condizioni socio-economiche del territorio dove essi operano, che è un fattore che fa ovviamente la differenza. Attendiamo di conoscere chi sarà il nuovo presidente dell’Invalsi, per comprendere quale sarà la sua idea di valutazione delle scuole e degli insegnanti.
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