La figura dell’insegnante in Italia, in questo periodo storico, non gode di grande rispetto e considerazione da parte della società in cui viviamo.
E’ innegabile l’esistenza di tante situazioni in cui i docenti non ne escono proprio bene, come maltrattamenti nei confronti degli alunni o furberie varie, condivise però con altre categorie di lavoratori, ma si sta lentamente portando il docente sul banco degli imputati perennemente.
Inoltre la professione negli ultimi anni vede un aumento dei carichi di responsabilità e di conseguente stress, che porta in molti casi ad una disaffezione lavorativa spesso sfociante nella sindrome di bournot.
Senza contare che gli stipendi degli insegnanti in Italia, restano fra i più bassi d’Europa, aumentando esponenzialmente i malumori.
Ne abbiamo parlato con Roberto Cafiso, psicoterapeuta e direttore dell’ASP di Siracusa dell’area dipendenze patologiche e coordinatore del dipartimento di salute mentale, che fornisce un quadro completo di quello che è il profilo dell’insegnante oggi.
In una società sempre più veloce e stressante, la figura del docente oggi come viene collocata?
Il docente sta attraversando fasi controverse già da circa 20 anni. Oscillando da una delega a volte totale da parte delle istituzioni e della famiglia, ad una sorta di contrapposizione da parte di quest’ultima, spesso per non prendere atto che l’immagine che i genitori hanno del figlio non è quella che i docenti osservano. E dunque aspettative deluse, frustrazione, individuazione di un capro espiatorio pur di non accettare la realtà: il docente si presta bene ad essere vittima predestinata.
Insultato sino talvolta alle aggressioni, il docente è ridimensionato agli occhi dei figli. Un gravissimo danno a loro carico, perché diventa vincente la strada più facile, l’onnipotenza del ragazzo, la tendenza immaginifica a rimuovere i problemi, caratteristica delle famiglie disfunzionali.
L’ordine degli psicologi della Calabria ha chiesto di sottoporre gli insegnanti a visita psicologia annuale, così come il presidente dell’associazione Noi Consumatori, per evitare maltrattamenti nei confronti degli alunni anche a causa del troppo stress a cui sono sottoposti i docenti. Cosa ne pensa in merito?
Potrebbe essere un’idea se il concetto si estendesse a medici, psicologi, magistrati e a quelle categorie che gestiscono persone e destini. Bisognerebbe stabilire “chi maltratta chi” e se la tutela di alunni e genitori è una difesa d’ufficio della scarsa tolleranza alla frustrazione in uso al nostro Paese da molti lustri. Che ben vengano i test clinici, ma estendiamoli ad altre categorie.
In un suo contributo per il quotidiano La Sicilia, parla anche delle famiglie degli studenti, che pare abbiano affidato troppo il timone dell’educazione alla scuola. Quali sono realmente i problemi in questo senso?
Dicevo prima la delega. Che tuttavia non si affida, ma si deresponsabilizza, salvo poi a dire peste e corna dei prof se le cose sono andate diversamente dai desideri e dai “nodi da sciogliere” di pertinenza della famiglia. Delega a trattare con ragazzi difficili, disagiati, che abusano di alcol e droghe, che hanno già screzi psichici. Ricordiamo poi l’handicap e l’autismo. Tutto in un unico contenitore. Le aule, gestite da un corpo docente a volte impreparato, il più delle volte sovraccaricato di problemi trasversali, dinamiche e giudizi di merito sul proprio operato di cui da tempo è competente anche il TAR. La Scuola è stata lasciata sola a far tutto, salvo poi il rimproverarle di non fare nulla. E’ la contraddizione malata di una società irragionevole e bulimica di pretese.
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La sindrome di bournot sembrerebbe quindi un rischio reale a cui molti docenti di ogni ordine e grado vanno incontro. Non pensa che, oltre ai carichi eccessivi di cui stiamo parlando, l’insoddisfazione della categoria raggiunga l’apice se si considera anche la questione degli stipendi degli insegnanti, fra i più bassi d’Europa?
Credo che gli insegnanti italiani siano pagati nella misura in cui sono considerati. La frustrazione e l’immagine di sé che ne deriva fa si che molti docenti si releghino in un cantuccio, contenendo iniziative ed entusiasmo. Questo esaurisce motivazione e slancio, indispensabile per essere educatori. Un grave gap che la Scuola accusa perché non si possono risolvere i problemi con il benefit del tablet.
Lo Stato deve fare ben altro, a partire dalla copertura di remunerazioni che diano più dignità al momento educativo. Non sono solo gli stipendi a fare i bravi insegnanti, sia chiaro. Ma non si può pretendere il massimo erogando il minimo in considerazione.
Dal suo punto di vista, cosa consiglia quindi alle scuole e cosa alle famiglie degli studenti per riequilibrare il percorso di istruzione e di educazione degli alunni?
Cooperazione e scambi culturali con la Società civile. La Scuola, piaccia o no, entra nelle famiglie e ne coglie aspetti, modelli, assetti valoriali. Lo si accetti, non come una fragilità smascherata, ma come l’occasione per migliorarsi, crescere, modificarsi dove serve.
I docenti non sono censori, ma possono essere leve di cambiamento. Quello che raramente avverrà fuori dalle aule scolastiche. Di ciò bisogna prendere serenamente atto e restituire alla formazione il giusto peso per forgiare meglio senza miopie e sottovalutazioni di comodo la società che verrà.
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