Credo che nelle ultime settimane sia accaduto qualcosa di assolutamente straordinario, ancorché ampiamente prevedibile. L’antinomia tra questi due aspetti è in effetti solo apparente. Mi riferisco al diluvio di parole cadute sulla scuola, a tutti i livelli. Credo che mai come in quest’ultimo periodo la scuola sia stata al centro della comunicazione massmediatica, soverchiando ogni altro argomento. Non c’è politico che non sia intervenuto sul tema, non c’è giornale o tv che non abbia dedicato alla scuola un profluvio di servizi su questo o quell’aspetto. Un paio di considerazioni appaiono allora ineludibili.
La prima. Fa piacere notare che una volta tanto la scuola si trova al centro del dibattito nazionale e del confronto, che se ne sia riscoperta – allo scopo ci voleva nientemeno che una pandemia – la non marginalità nel tessuto sociale e culturale del Paese.
Prima del Covid accadeva quasi sempre il contrario. Si vada a vedere quante forze politiche, fino ad oggi, hanno messo la scuola al centro – o perlomeno non nell’estrema periferia – dei propri programmi elettorali: spesso la scuola non compariva nemmeno, se non magari come nota a piè di pagina. Inevitabile, allora, percepire una buona dose di ipocrisia: chi oggi grida alla centralità dell’istituzione scolastica, alla scuola come pane quotidiano per il sostentamento del Paese, fino a ieri spesso non sapeva nemmeno se esistesse, la scuola. E il timore è che, passata la buriana del Covid, torni a dimenticarsene. Il problema è che con il Covid parlare di scuola è diventato di moda. Ma le mode, si sa, passano.
La seconda. Tutti, ultimamente, hanno discettato di scuola, si diceva. E’ mancata una sola voce, percepita tutt’al più in misura marginale, flebile: quella degli insegnanti. Nemmeno in questa delicatissima fase in cui pare essere stato compreso il ruolo essenziale dell’istituzione scolastica come pilastro su cui si reggono il presente e il futuro del Paese si è dato voce a chi la scuola la vive e la fa ogni giorno.
Opinionisti di ogni genere – anche non titolati a parlare di scuola -, politici, finanche l’uomo della strada, tutti hanno detto la loro, ma si vada a verificare in quanti telegiornali, programmi di approfondimento, talk show, è comparso qualche insegnante. Quando – pochi mesi fa – il Covid era soprattutto un’emergenza sanitaria, parlavano i medici e gli infermieri, ora che in cima alle priorità c’è la ripresa della scuola parlano tutti fuorché i docenti.
Oggi più che mai, dunque, sembra emergere la necessità che i docenti abbiano una propria rappresentanza che non sia necessariamente mediata dalla galassia delle sigle sindacali, ma che sia davvero loro propria.
Un’associazione di categoria, per esempio, che sia degli insegnanti, con una rappresentanza democraticamente eletta e rappresentativa dei vari settori della scuola. Perché, è fuor di dubbio, oggi i docenti sono tanti e nessuno allo stesso tempo.
Una massa senza voce, senza mai un microfono, che ascolta sistematicamente quello che altri – sempre altri – dicono di loro, del loro mondo, del loro lavoro, dei loro problemi, spesso ignorandone la realtà. Forse sarebbe tempo che questo paradosso finisse e che iniziasse una nuova era. Forse – chissà – almeno in questo senso il Covid potrebbe allora fare bene alla scuola, conferendole, almeno in potenza, una centralità non effimera, non vincolata alla virulenza e, soprattutto, alla durata di una pandemia.
Sergio Mantovani
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