I lettori ci scrivono

Gli “inutili” test Invalsi

Ci hanno detto che l’inclusione è un obiettivo prioritario, ci hanno spiegato che ogni alunno ha il suo stile di apprendimento per cui la parola d’ordine è personalizzare l’insegnamento, ci hanno formati in corsi fotocopia sulle varie categorie di disturbi e sulle modalità operative per affrontarli, abbiamo studiato la normativa sui BES e relativi strumenti compensativi e dispensativi, abbiamo compilato cataste di PDP e messo in atto tutte le strategie per colmare ogni tipo di svantaggio.

Ci hanno sfranto le gonadi con tutte le teorie pedagogiche più avanzate atte a non lasciare indietro nessuno e favorire ogni stile di apprendimento…evvai col cooperative learning, la flipped classroom, il peer to peer, le mind maps e tutti gli esotismi ad effetto…

Io ligia al dovere ho frequentato mille corsi strapallosissimi sui disturbi specifici rappresentati dai più fantasiosi acronimi etichettanti, elaboro mappe concettuali e schemi, preparo per ogni verifica cinque compiti diversi graduati sulle varie difficoltà, valuto il processo e non la performance, privilegio la sostanza alla forma, premio il progresso piuttosto che il risultato E POI…

la seconda settimana di Aprile tutte le attività didattiche si fermano in ossequio allo svolgimento delle famigerate prove Invalsi, stramaledettissimi test quizzaroli uguali per tutti gli alunni di tutte le classi di tutte le scuole dalle Alpi alla Trinacria, dalla scuola extralusso del Trentino alla baraccopoli dello Zen di Palermo, dal liceo fricchettone agli avamposti di frontiera.

Improvvisamente grazie al potere taumaturgico dell’Invalsi guariscono tutti i disturbi e svaniscono svantaggi e differenze, all together appassionatamente, spianati e livellati dal bulldozer della scuola per competenze e dei target di apprendimento standardizzati.

Un’oretta di quiz computer based e computer corrected ed ecco sfornato il livello di competenze e noi cretini che ci abbiamo messo anni di sudore e lacrime per imparare a personalizzare credendo alla favoletta che ogni alunno è diverso dall’altro.

Antonella Currò

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