“L’esperienza degli istituti professionali statali deve essere considerata chiusa e i sessantamila docenti devono essere ricollocati altrove”.
Sono parole davvero forti quelle pronunciate da Valentina Aprea, ex vice-ministro dell’Istruzione del Governo Berlusconi ed oggi assessore all’Istruzione della Regione Lombardia, nel corso del convegno “Accendere i fari sull’Istruzione e Formazione Professionale” organizzato dall’associazione Treellle e che si è tenuto a Torino il 23 giugno scorso.
Secondo Aprea, non vi sarebbero più dubbi: l’aperta questione sulla crisi della formazione professionale in Italia – che vede protagonisti, oltre le scuole statali professionali, anche gli istituti tecnici ed i Centri di formazione professionale di stampo regionale – si risolverebbe con il “sacrificio” dei primi.
Aprea indica anche dove verrebbero collocati i 60 mila docenti perdenti posto: la strada è stata tracciata, quindi l’utilizzo dell’esercito di soprannumerari va trovato “sull’esempio dell’organico di potenziamento istituito dalla Legge 107/15”.
Va ricordato che a trovarsi nei “guai” sarebbero, in particolare, i docenti delle discipline di settore, quelle più tecniche, i quali non è detto che possano trovare collocazione negli istituti tecnici. E nemmeno che i collegi dei docenti debbano prevedere dei posti aggiuntivi, attraverso il potenziamento, proprio per la loro materia d’insegnamento. A salvarsi dalla perdita di titolarità, ma non è detto vicino casa o l’attuale sede di servizio, sarebbero invece quei docenti delle discipline di “prima area” (Italiano, Matematica, Inglese, Scienze e via discorrendo), coloro che posseggono la specializzazione sul “sostegno” agli alunni disabili, ma anche quelli che hanno altre abilitazioni.
“Naturalmente la Aprea – commenta la Flc-Cgil – nulla dice degli oltre cinquecentomila studenti che frequentano tali istituti, del personale ATA e dei dirigenti scolastici. Si tratta evidentemente di aspetti residuali rispetto alla “grandiosità” della proposta”, taglia corto il sindacato palesando contrarietà per la proposta.
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“Tale proposta – continua il sindacato – fa il paio con quella sostenuta dal sottosegretario al Ministero del lavoro, Luigi Bobba, appoggiata da alcuni network della formazione professionale della medesima provenienza culturale del sottosegretario, che chiede che l’istruzione e formazione professionale, intesa come l’insieme delle attuali istruzione professionale (IP) e istruzione e formazione professionale (IeFP), costituisca un settore differenziale, facente capo al Ministero del lavoro, rispetto al resto del sistema di istruzione di secondo ciclo. Sulla stessa linea alcune Regioni che chiedono però che la governance del nuovo sistema differenziale sia affidata alle Regioni stesse. Tutte le proposte hanno in comune l’abbassamento dell’età di accesso al lavoro vero e proprio”.
“Questi grandi sommovimenti – conclude il sindacato guidato da Mimmo Pantaleo – testimoniano il lavorio di questi mesi intorno alla delega prevista dalla Legge 107/15 (comma 181 lettera d), finalizzato a raggiungere un obiettivo preciso: demolire l’istruzione professionale statale. Si tratta del tentativo di mettere in atto la “soluzione finale” contro un intero settore scolastico e che è stato preceduto da precise scelte politiche e tecniche”.
Per quanto ci riguarda, possiamo dire che sulle manovre di soppressione degli istituti professionali c’è una novità: sinora il progetto, l’idea di fondo, era passata “sotto traccia”, senza esternazioni favorevoli cosí esplicite. Ora, invece, non c’è più alcuna remora: si esce allo scoperto e si dice, apertamente, che sono di troppo. Si tratta di scuole superiori, con un alto numero di corsi e specializzazioni, che comunque continuano a produrre diverse decine di migliaia di diplomati l’anno. Senza le quali, il numero di giovani con la maturità in tasca si ridurrebbe ulteriormente. Con l’obiettivo Ue di portarli ad una soglia soddisfacente che si butterebbe clamorosamente alle ortiche.
Ma quando al Governo dicono che stare in Europa è importante, sono consapevoli che certe decisioni, sempre più caldeggiate, produrrebbero l’effetto opposto delle indicazioni che arrivano da Bruxelles?
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