“Gli stipendi dei lavoratori del settore pubblico sono in media del 20% più alti rispetto a quelli del privato: un +2,6% contro un +1,1%.
Dunque per Linkista “il settore pubblico appare come un’aristocrazia composta da sempre meno membri, sempre meglio pagati, soprattutto rispetto al resto dei cittadini, dove la stragrande maggioranza, se lavora, lo fa nel settore privato”.
Infatti, si legge sul portale, “nel 2019 rispetto al 2015 gli statali hanno visto un aumento del 4,3% dei salari medi pro-capite. I privati, invece, soltanto del 3%”.
Singolare il fatto “che in Norvegia, Svezia, Danimarca i lavoratori statali sono intorno al 30%, più del doppio rispetto a noi. E però in questi stessi Paesi gli stipendi pubblici sono da sempre tra i più bassi se rapportati al PIL pro capite. Contrariamente a quanto si possa pensare, ci sono meno dipendenti pubblici nel nostro Paese, in proporzione agli abitanti, che in Germania, o in qualsiasi altro Paese UE. I lavoratori pubblici da noi sono un terzo che nei Paesi Scandinavi.
Tra l’altro, si tratta di una élite di anziani. Infatti mediamente l’età dei dipendenti pubblici è molto maggiore di quella di chi lavora altrove.
Un chiarissimo esempio viene dal segmento della scuola, quello più popoloso nell’ambito pubblico: siamo il Paese con gli insegnanti più vecchi in assoluto, sia alle elementari che alle superiori. L’unico in cui, per entrambi i casi, oltre metà dei docenti ha più di 50 anni.
Intanto disponibili per rinnovare il contratto dei professori italiani ci sarebbero 812,63 milioni di euro nel 2020 e 1.670,12 milioni dal 2021.
Dunque, gli aumenti mensili medi per i docenti sarebbero di circa 80 euro lordi a regime. In altre parole continua la parsimoniosa politica del Governo nei confronti dell’Istruzione e questo nonostante il 90% del bilancio del Miur serva a retribuire il milione e più di dipendenti.
Per assicurare aumenti fino a 100 euro sarebbero necessari circa 2,2 miliardi, ma nella disponibilità del Governo ve ne sarebbero solo circa 1,7 miliardi.
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