Il blocco degli stipendi degli insegnanti è una caratteristica tipica dell’Italia: lo si legge nel rapporto annuale di Eurydice, il network della Commissione europea che monitora i sistemi educativi in Europa.
Nel rapporto Ue si evidenzia come il salario medio annuo dei docenti del nostro Paese è il più modesto tra le maggiori economie dell’Ue.
Anche perché, negli ultimi anni, i salari dei colleghi europei sono aumentati in modo decisamente più alto rispetto agli 85 euro lordi medi assegnati in Italia nell’ultimo decennio.
Nel biennio 2017/2018, la maggior parte dei Paesi Ue ha registrato un aumento negli stipendi degli insegnanti rispetto agli anni precedenti, un trend piuttosto marcato nei Paesi dell’Est (fino a +40% in Romania e Bulgaria), dove i dati mostrano che gli stipendi sono ancora molto più bassi rispetto al resto dell’Ue, ma – spiega lo studio – “sono state messe a punto politiche che hanno avuto un impatto significativo”.
Anche in altri Paesi come Francia, Germania e Danimarca, scrive l’Ue, “la contrattazione collettiva ha migliorato i livelli salariali”.
In Italia, gli unici aumenti rilevati sono invece legati all’inflazione o al costo della vita. Un blocco che vede gli insegnanti italiani restare indietro nella classifica dell’Unione europea sui salari annui lordi medi, con 28.147 euro, ultimi tra i colleghi delle maggiori economie Ue.
Le prime dieci posizioni della classifica degli stipendi sono occupate dagli insegnanti di Danimarca (60.444 euro), seguiti dalla Germania (55.926), poi Austria (48.974), Paesi Bassi (47.870), Belgio (44.423), Finlandia (44.269), Svezia (40.937), Regno Unito (37.195), Francia (33.657) e Portogallo (29.941).
Dell’Italia, almeno nella top ten dei docenti meglio pagati nel Vecchio Continente, non c’è traccia.
Anche per il futuro, c’è poco da ridere: nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, licenziata dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre, nelle pagine 40 e 41 nel paragrafo “Dati di consuntivo e previsioni a legislazione vigente”, c’è scritto che “nel triennio 2020-2022 la spesa per redditi aumenta in media dello 0,6 per cento. L’incidenza sul PIL risulta pertanto in calo, dal 9,7 del 2019 al 9,2 per cento del PIL nel 2022, confermando sostanzialmente le proiezioni del DEF”.
In altre parole, ha scritto La Tecnica della Scuola, ci sarà un leggero aumento della spesa per stipendi, ma rispetto al PIL la spesa complessiva diminuirà.
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