«Non si tratta quindi solo della reintroduzione delle prove scritte, per molte ragioni indispensabile; ma di trasmettere agli studenti il messaggio di serietà e di autorevolezza che in fondo si aspettano da parte degli adulti». Sono le parole finali della lettera aperta, indirizzata il 4 dicembre al Ministro Bianchi dal “Gruppo di Firenze per la Scuola del merito e della responsabilità”, onde chiedere la reintroduzione delle prove scritte all’Esame di Stato. La firmano decine di autorevoli docenti universitari ed esponenti della cultura e della politica: tra i quali il noto storico Alessandro Barbero, la psicologa Anna Oliverio Ferraris, l’economista Carlo Cottarelli (ex direttore del Fondo Monetario Internazionale, Presidente del Consiglio incaricato nel maggio 2018), la storica medievista Chiara Frugoni, l’economista ed ex ministra Elsa Fornero (che diede il nome alla famigerata riforma delle pensioni del Governo Monti), il giurista Gustavo Zagrebelsky (già Presidente della Corte Costituzionale nel 2004), lo psichiatra Paolo Crepet, il sociologo e sondaggista Renato Mannheimer.
La lettera ricorda esplicitamente che già nei due anni precedenti molti degli stessi neodiplomati hanno definito l’esame “una burletta”. La Scuola, secondo i latori della lettera, ha perso credibilità «scegliendo la via dell’indulgenza a compenso della sua frequente inadeguatezza nel formare culturalmente e umanamente le nuove generazioni»: un po’ come se gli adulti ammettessero implicitamente di non saper educare i giovani, perdonandone perciò ineducazione, grossolanità, ignoranza.
«E che l’esame debba essere una verifica seria e impegnativa è nell’interesse di tutti. In quello dei ragazzi – per cui deve costituire anche una porta d’ingresso nell’età adulta – perché li spinge a esercitarsi e studiare, anche affrontando quel tanto di ansia che conferma l’importanza di questo passaggio». Principio più volte affermato anche da Paolo Crepet, il quale (come molti altri esperti della psiche umana) sostiene che la crescita si attua proprio nell’affrontare con coraggio le difficoltà.
Pochi giorni fa lo stesso Crepet ha dichiarato che, continuando così, fra pochi anni avremo una classe dirigente di semianalfabeti che svenderanno il Paese a Indiani e Cinesi: «Perché gli Indiani sono a capo delle più grandi aziende digitali? Perché hanno università fantastiche, dove se sai, bene, altrimenti torni indietro, e tornare indietro non è bello perché lì c’è la fame. E pensare che da noi ci sono genitori che hanno fatto ricorso al TAR contro lo scritto all’esame. Sono genitori che odiano i figli, perché se togli gli ostacoli fai sì che l’ostacolo sarà a 35-40 anni e farà ancor più male».
Come anche la lettera sottolinea, dunque, «è nell’interesse della collettività garantire che alla promozione corrisponda una reale preparazione».
Nello scorso ottobre una petizione su change.org (forte oggi di quasi 50.000 firme) riportava la richiesta di alcuni “studenti maturanti” [sic! Poi diventati “studendi maturandi”] di non ripristinare gli scritti per i prossimi esami 2022, «poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità». La lettera prosegue in tono simile, con punteggiatura e sintassi non proprio impeccabili (ancorché – grazie al Cielo – meno scorrette della celeberrima lettera di Totò e Peppino alla “malafemmina” nel noto film omonimo).
Orbene un Governo, che avesse avuto a cuore le sorti di uno dei Paesi più industrializzati del mondo, non avrebbe esitato a rispondere che, proprio in considerazione di una petizione simile, è assolutamente necessario ripristinare quanto prima la serietà della Scuola e dell’Esame di Maturità, onde sfornare diplomati che sappiano scrivere, leggere, parlare ed ascoltare (nonché ragionare con umiltà ed intelligenza).
Viceversa l’attuale Ministro dell’Istruzione ha accolto subito la richiesta degli “studendi” e dei “maturanti”, proponendo anche per il 2022 un esame “snello”, senza prove scritte. Con motivazioni ovviamente nobili: non penalizzare i poveri studenti afflitti da due anni di “Didattica Distanza” (che nell’anno scolastico 2019/20 era stata esaltata come un “salto in avanti” nella “modernità”); e realizzare comunque un esame “rotondo” anche con un solo colloquio orale. «Stiamo molto attenti alle richieste dei ragazzi e abbiamo molta attenzione verso quanto ci dicono i docenti. Quanto prima daremo il modo di preparare al meglio anche gli esami di quest’anno».
Eppure, come lo stesso Ministro aveva ammesso il 27 maggio scorso nella trasmissione Agorà di Rai3, «È importante saper scrivere, altrimenti non si sa parlare». «Guardiamo,» aveva dichiarato già in quell’occasione, «vediamo come va, sto avendo riscontri positivi, è giusto avere tempo per articolare un pensiero complesso, ci ragioniamo».
«Questa è la maturità che prepara al futuro», aveva chiosato Bianchi. Un futuro – c’è da chiedersi – da persone colte, preparate e libere? O da poveri servitorelli ignoranti?
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