Chi sostiene che gli insegnamenti e le indicazioni di integrazione scolastica di Don Milani possano tranquillamente adattarsi alle nuove generazioni non sbaglia: la conferma è arrivata il 10 giugno con la pubblicazione di uno studio della Banca d’Italia dal titolo “I divari territoriali nella preparazione degli studenti italiani: evidenze dalle indagini nazionali e internazionali”.
Dall’indagine, che ha incrociato le risultanze dei principali studi internazionali sull’istruzione moderna – come il noto Ocse-Pisa, passando per la Timss fino a quelli prodotti del nostro Invalsi – emerge chiaramente che gli studenti meno abbienti del Meridione italiano hanno meno probabilità di affermarsi a scuola. Almeno fino alla licenza media. Se lo studente ha la fortuna di andare al liceo però ha buone possibilità di recuperare il terreno perso in partenza.
Le statistiche però ci dicono che due su tre scelgono i corsi tecnici e professionali: in questi istituti, dove i programmi pur non trascurando le materie di base pongono molte attenzioni alle specializzazioni – il gap si trasforma in una scalata culturale quasi impossibile da realizzare. Anche perché quasi sempre le famiglie che indirizzano i propri figli ad un corso alternativo al liceo sono quelle culturalmente ed economicamente meno avvantaggiate: “la probabilità di uno studente appartenente alla classe sociale più elevata di essere iscritto a un liceo – si legge nello studio – è sette volte più alta di quella di uno studente con le più sfavorevoli condizioni familiari. Tali evidenze sono ricorrenti in tutte le aree geografiche”.
Più che uno studio scientifico, quella della Banca d’Italia sembra quasi voler rappresentare delle generiche teorie sui motivi più o meno latenti dello svantaggio culturale: invece dall’indagine, condotta da Pasqualino Montanaro, del Nucleo per la ricerca economica della sede di Ancona della Banca d’Italia, emerge un preciso dato sul divario territoriale “nella preparazione degli studenti italiani sufficientemente affidabile se riferito – si legge nel rapporto finale – alla scuola media inferiore e a quella superiore, avendo nell’amplissima partecipazione di scuole
e studenti il suo punto di forza”.
Ebbene, quel che sostiene la ricerca è che “il livello di proficiency nel Mezzogiorno è significativamente più basso rispetto agli standard internazionali e a quelli delle regioni settentrionali, in tutti gli ambiti di valutazione considerati (comprensione del testo, matematica, scienze, problem solving)”. Premesso che mediamente un ragazzo del Sud è meno preparato di quello del Nord, il divario si acuisce quando si riducono le condizioni socio-economiche. Alla primaria, ad esempio, “in media il punteggio ottenuto da uno studente con lo status sociale più elevato supera del 25% circa quello ottenuto da uno studente con lo status sociale più basso“.
Il dato si associa senza dubbio, almeno per il ricercatore della Banca d’Italia, al basso stato sociale delle famiglie di appartenenza: “le differenti condizioni sociali e culturali – sottolineano i realizzatori dello studio nelle conclusioni -, già a partire dall’età prescolare, influiscono in maniera decisiva sulle abilità cognitive, sulla capacità di esprimere se stessa, di percepire i colori, di comprendere spazi e forme, di rappresentare fenomeni di natura quantitativa“. Il tutto andrebbe ricondotto alle “caratteristiche della famiglia di provenienza”, che eserciterebbero “un forte impatto sulla preparazione scolastica, specialmente negli anni della scuola dell’obbligo.
Sembra proprio, quindi, che l’ambiente di nascita del ragazzo sia predominante su tutte le altre componenti: come il talento, l’impegno e la predisposizione allo studio. Un’ipotesi sempre più plausibile che, insieme a Don Milani, farebbe felice anche Charles Robert Darwin: il noto geologo e naturalista inglese di cui l’anno prossimo si celebrerà il duecentesimo anno dalla nascita.